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Libro piccolo e perfetto: autobiografico, didattico e di alto valore etico. Spero che lo leggano in tanti perché è agevole, misurato, scritto in maniera ricca e allo stesso tempo semplice (la sua caratteristica principale). Ma è soprattutto nei tasselli storici e aneddotici scelti per costruire la sua trama (narrativa e di pensiero) che questo libro spicca tra altri (biografici, storico-politici, di narrazione in generale). I motivi della sua importanza sono principalmente tre. 1 - Goldkorn è nato in Polonia e lì ha vissuto fino a circa venti anni, prima di emigrare in Israele e poi stabilirsi definitivamente in Italia. Dunque per almeno metà del libro si parla della Polonia post-bellica e soprattutto delle assurde vicende dei suoi cittadini, ebrei e non, sia sotto il regime sovietico che durante la guerra nazista. 2 - Quel che l'autor racconta e le riflessioni che fa sono interessanti in ogni dettaglio. Si sente l'influenza di Kapuściński; è imprescindibile la presenza di Marek Edelman, del quale G, torna a dichiararsi allievo di vita, e, accanto a Edelman, emerge pure l'ombra e la lezione di Primo Levi, sia nei ragionamenti sull'uso etico e politico della memoria, sia su quelli circa i ruoli individuli nello schema vittima\carnefice\male. G. ci offre un certo numero di elementi sui quali riflettere seriamente, perfino serenamente e (ho immaginato leggendo) durante il corso di chiacchierate semplici e quotidiane, magari in famiglia (di fatti il racconto si svolge quasi tutto in "famiglia"). Ci dà argomeni, un metodo e l'atmosfera. 3 - La storia del '900, i fatti della Shoah, i razzismi, l'odio verso i poveri e i derelitti, l'uso politico ed etico della memoria, l'impegno di ognuno di noi nel cotrastare i soprusi e le vessazioni contro i popoli e le persone vittime di azioni di convenienza della mala politica, della mala economia e e della mala ideologia: di queste cose, "Il bambino nella neve" racconta, infine, alcuni angoli e scorci rinfrescati o nuovi.
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