Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Non pensavo di poter trovare un libro di Krasznahorkai, maestro ungherese dell'Apocalisse (rubo da Susan Sontag), che potesse essere di intensità anche solo pari a quella generata da "Satantango", ma evidentemente, e fortunatamente, non era così. Anche in questo caso ha funzionato il mio personale criterio di meritevolezza che si estrinseca, molto semplicemente, nel fatto di cercare sempre una scusa per interrompere la lettura di un libro per non farlo finire troppo presto: e così è stato. Attualissimo cantore dell'angoscia e del vuoto dei nostri tempi, Krasznahorkai ambienta in non-luoghi senza tempo, solo geograficamente calati in misteriose piccole città dell'Est Europa, le sue storie di gente confusa, illusa e/o disillusa, sempre in difesa da un mondo esterno incomprensibile e violento (ma di una violenza che si avverte fortissima dalle pagine scritte ma che mai viene minuziosamente, morbosamente ed inutilmente descritta, come avviene da parte di certi osannatissimi "maestri"dei nostri tempi, quali Murakami o McCarthy) ma anche pronta a cogliere anche il minimo segnale di possibile salvezza, riscatto, trasformazione. Per non parlare, poi, di quell'inquietante luogo della memoria di tutti noi che è il Circo, protagonista di questo libro, le cui caratteristiche esteriori ("l'inatteso, il sorprendente, lo straordinario") nascondono - e qui lo Scrittore va molto oltre l'aspetto meramente grottesco di felliniana memoria - una realtà più cupa che, probabilmente, attende l'umanità. Quanto finora scritto potrebbe fare pensare ad una prosa opprimente: la meraviglia, invece è che le pagine scorrono incalzanti, rivelando sorprese continue e riflessioni quasi sempre originali ed illuminanti. Consiglio, quindi, caldamente Krasznahorkai perché mi ha convinto che, dopo Celine, Bernhard e Gombrowicz, la Letteratura/Vita può ancora continuare ad esistere e che, comunque, anche nell’apocalisse e nella confusione c’è speranza.
Dopo l'eccellente impressione lasciata da "Satantango" le attese erano assai alte; purtroppo non si può sempre avere l'occasione di gridare al miracolo, o forse semplicemente sono io che non riesco ad entrare del tutto in sintonia con lo stile di questo libro. Come nell'altro suo lavoro reperibile in italiano ci sono pagine di una lucidità e precisione degne del McEwan di "Sabato": su tutte, la trattazione del temperamento proposto da Werckmeister che dà il titolo al bel film tratto da questo volume. Una lettura impegnativa ma gratificante.