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uno stile asciutto agile e preciso che sa trasmettere con esattezza mille tipi di emozioni. Una storia che scuote il lettore come solo la buona letteratura sa fare
Una lettura non semplice, un romanzo narrato dalla voce di un bambino che vede tutto il suo mondo andare in pezzi a causa di una guerra tanto crudele quanto assolutamente folle. Questa storia ha una fortissima nota autobiografica, Gael Faye così come Gabriel, protagonista della vicenda, è un burundese, ha una madre ruandese ed un padre francese, così come il bambino che ci narra la storia anche Gael è stato strappato con la forza alla sua terra, a quella che era stata la sua normalità, ai suoi giochi,ai suoi amici, per fuggire e mettersi in salvo in quell'Europa che appariva così sicura, così lontana dal rumore dei bombardamenti, ma al contempo così strana, così diversa, una terra che ti fa sentire sempre ai margini, che ti accoglie, ma che non ti accetta mai fino in fondo. Il tema di un'identità spezzata, di una vita vissuta tra due mondi, di un'anima divisa a metà appare fortissimo, così come il suo essere burundese ma anche francese, meticcio e anche tutsi. Gabriel dopo tanti anni sceglie di tornare in Burundi, sceglie di seguire quella tremenda nostalgia che ancora gli fa sognare la vita di un tempo, ripercorrere con la mente i momenti felici, rivedere il volto di suo padre, di sua madre, dei suoi amici, volti che gli fanno male e gli trafiggono il cuore. Ana, sua sorella, sembra essersi lasciata alle spalle quel mondo perduto, forse per la ferrea volontà di dimenticare il rombo delle bombe, i morti per strada, le molteplici facce della crudeltà umana e vorrebbe disperatamente che anche Gabriel facesse lo stesso, che anche lui cominciasse a vivere la sua vita lontano dai fantasmi del passato. Ma come si può cancellare quello che è stato? Come si fa ad eliminare un pezzo della propria vita, come può Gabriel lasciarsi alle spalle il Burundi, l'Africa intera, quel piccolo Paese che sanguina, che grida aiuto, che viene puntualmente ignorato? Lui non può, non può ignorarlo, non vuole ignorarlo. Ci prova, sembra riuscirci, ma poi non ce la fa e si abbandona alla tragica dolcezza del ricordo. L'autore ci narra gli aspetti quotidiani della vita di Gabriel prima della guerra che dal 1995 ha colpito il Burundi, si sofferma molto sui singoli episodi che all'apparenza possono sembrare inutili o, quanto meno, superficiali, ma che sono funzionali a creare per il lettore il quadro della "normalità", di una vita tranquilla fatta di giochi con gli amici, scaramucce in famiglia, di scuola, compiti, piccole bravate, insomma di come è l'esistenza di qualsiasi bambino. Tutti i momenti di vita quotidiana servono anche a rendere ancora più tragico il disfacimento di questa realtà e questo sentimento è acuito dal fatto che noi lettori guardiamo tutto attraverso gli occhi di un bambino, assistiamo alla perdita della sua innocenza, allo smembrarsi della sua famiglia nel momento in cui l'odio e la follia umana travolgono anche la sua vita. Alla tematica della guerra civile scoppiata in Burundi si aggiunge il terribile genocidio dei tutsi attuato in Ruanda e di cui l'autore ci parla perchè è il paese di sua madre, una donna fiera delle sue origini, che soffre terribilmente nel vedere la sua terra affogare nella violenza e nel sangue. La guerra che diventa familiare, una presenza fissa nella vita di queste persone, qualcosa di terribile con cui si impara a convivere, quasi non ci si fa più caso... Sentire queste parole uscire dalla bocca di un bambino strazia il cuore, fa infuriare e fa riflettere. Leggevo le pagine scritte da Faye e mi chiedevo: per quante persone oggi la vita è esattamente così? Per quanti bambini quella della guerra è l'unica realtà che conoscono? Quanti di loro sognano di trasformare quei bagliori che bruciano il cielo in bellissime stelle cadenti? Tanti, troppi. Gael Faye racconta questa storia dolorosa con grande schiettezza e con una semplicità disarmante. Non c'è mai retorica nel suo modo di raccontare, non scade mai nel pietismo, nel sentimentalismo, non usa una scrittura particolarmente complessa, non ci sono abbellimenti, giochi di parole, periodi troppo lunghi, ma frasi spesso molto brevi, dirette, che vanno dritte al punto, che colpiscono perchè è questo che deve fare questa storia.
Che grande scoperta questo Faye, giovane scrittore e rapper francese di origini burundiane. Un romanzo che sgocciola amore e malinconia. Una storia cupa che racconta l’amore per la famiglia, per gli amici, per la natura selvaggia e per la propria terra. L’Africa, da sempre dilaniata dalla guerra; guerra che non guarda in faccia a nessuno, nemmeno gli abitanti dello stesso tetto. Un padre francese, una madre ruandese, due figli meticci tutsi. Un giovane Gaby costretto a fare i conti troppo presto con la realtà. Un ragazzo che non vuole schierarsi e che ama senza differenze i suoi amici. Occhi che vedono e sono costretti a ricordare, orecchie che ascoltano ma vorrebbero dimenticare. Un tuffo nell’infanzia di Gaby.
L'uso quasi esclusivo dell'imperfetto per rendere la sensazione del passato perduto, lo stile essenziale, asciutto, e i fatti raccontati solamente se rientranti nel cono visuale o nell'orecchio di Gabriel, sono alcune caratteristiche del romanzo, nel complesso discretamente apprezzabile e di rapida lettura. La strage tra hutu e tutsi viene descritta dal punto di vista di chi si trova alla periferia del vortice, ma che deve spostarsi per non esserne risucchiato. L'autore non indugia mai sugli aspetti truculenti della tragedia e non cade nella facile retorica del sensazionalismo. Piuttosto accende un'umile candela sulla desolante vicenda utilizzando una storia tra le tantissime per raccontare al mondo, ma soprattutto a se stesso, cos'è successo in quell'angolo di mondo ignorato dall'occidente.