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Anno edizione: 2016
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L'autore descrive il fenomeno dell'immigrazione in questo pamphlet da un punto di vista sul tema insolito, e che ci deve far riflettere su come siamo tutti ormai immersi in una logica di potere, in cui l'altro è l'invasore e il diverso da combattere. Spero che questo libro venga letto, e capito, da più persone possibili.
"Quello che mi interessa è poter scrivere un reportage esattamente nello stesso modo in cui scriverei un libro"- afferma Carrère e ci riesce magistralmente, perché il risultato è un breve ed intenso racconto di vite vere e di speranza sul futuro. Un racconto di piccole azioni di coesistenza e tolleranza che permettono di andare oltre ogni cronaca pro o contro gli immigrati, per affrontare nel quotidiano i problemi di sopravvivenza che accomunano e dividono residenti e immigrati. Un libro che dopo averlo letto ti fa venir voglia di rileggerlo, per capire ancora più profondamente quella via possibile che hai la sensazione di intravedere in ogni pagina: nelle piccole azioni quotidiane di chi vive nei luoghi emblema di una gestione elettorale dell'immigrazione. Quelle risposte che non hanno "nessun valore statistico" ma rispondono ad un bisogno sempre più diffuso perché sono tante le Calais che, cresciute attorno a vocazioni manifatturiere spazzate via dal mercato globale, attraversano oggi il tunnel della loro decadenza economica e culturale con dei compagni di viaggio inattesi.
Tra un best seller e l'altro, Emanuel Carrère ha trovato il tempo (due settimane) di recarsi a Calais per scrivere una sorta di pamphlet su ciò che si trovava a osservare intorno a sé. L'intenzione che lo ha motivato a redigere questo reportage sul campo è stata quella di «rivolgere lo sguardo alla città e ai suoi abitanti», di sondarne umori e rabbie, di verificare l'esistenza o meno di episodi di razzismo o intolleranza, di documentare lo sfinimento economico dei settantamila abitanti "costretti" ad accogliere «settemila disgraziati ridotti allo stremo, che dormono in tende di fortuna, nel fango, al freddo e che ispirano, a seconda del carattere di ciascuno, apprensione, pietà o sensi di colpa». In effetti, quello di recarsi nella cosiddetta "Giungla", dove sono ammassate famiglie intere che vivono «un incubo di miseria e di insalubrità, in cui succedono cose terribili, regolamenti di conti e stupri», è l'ultima cosa che Carrère fa, procrastinando agli ultimi momenti del suo soggiorno l'impatto con la sofferenza. Prima, cerca di comprendere quanto profondo sia il malessere dei residenti francesi, ridotti alla disoccupazione e a un'inerzia rassegnata, con la loro fiorente attività turistica andata a rotoli e con la secolare industria del merletto completamente decaduta. Lo scrittore visita il teatro cittadino, siede nei caffè, passeggia lungo le banchine del porto, chiacchiera con giovani e vecchi, interroga intellettuali e commercianti, poliziotti e giornalisti, annusando passioni e ossessioni, animosità e slanci solidali. Sembra non esista nessuna soluzione per riportare Calais a una vita che abbia le sembianze della normalità: per lo meno, Carrère non sa proporre nulla. Si limita ad accusare il trattato di Le Touquet firmato da Francia e Inghilterra nel 2003 di aver provocato un disastro insanabile. Non basta più la comprensione generosa a calmare gli animi avvelenati da una parte e dall'altra: non basta scriverne, nemmeno se si è una celebrità letteraria.
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