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Anno edizione: 2015
Anno edizione: 2022
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Un romanzo geniale questo ultimo lavoro di Bianciardi, un ingegnoso pastiche in cui l’autore si muove su più piani , sia temporali, sia linguistici che concettuali. Impossibile delineare una trama temporalmente credibile, tanto complesso risulta l’intenzione dello scrittore di confondere epoche ed episodi di storia antica risorgimentale con altri più recenti : le 5 giornate di Milano, situate nel 1859, la rivoluzione partigiana , le lotte del ’68 e il suo conflitto personale di uomo e di intellettuale contro un entourage ostile. Il tutto è accomunato dalla delusione del fallimento, perché la lotta, anche vittoriosa, viene assorbita e fagocitata sempre con un potere contraddistinto da una grande ingiustizia sociale. Chiara è la denuncia dell’inefficacia politica di queste rivoluzioni “infantilistiche”, che molto spesso sbagliano gli obiettivi cui mirare; le banche, i media grida lo scrittore, altro che le Università e le Scuole. Là è annidato il vero potere!! E, a ben vedere ai nostri giorni, come non dargli torto? Bellissime le allegorie del potere austroungarico o di quello clericale degli anni più recenti. Gradevolissimi poi e assolutamente spiazzanti sono quegli espedienti che Bianciardi ha trovato per nascondere i suoi nemici personali, come il suo aristocratico editore, per esempio, le cui parti anatomiche vengono spesse indicate utilizzando, sinonimi dialettali differenti, quasi sempre liguri, ma sempre declinati con la particella nobiliare “de”. Divertenti poi , o se vogliamo anche blasfeme, sono le assurde contaminazioni di personaggi famosi vissuti in vari contesti storici : Carlo Cattaneo con Giorgio Bocca , Gassmann e Tognazzi con Pellegrino Rossi, Enzo Jannacci in mezzo alle barricate delle 5 giornate di Milano , insieme magari a Giorgio Gaber, singolarissima un’Oriana Fallaci che si esibisce in un twist nel salotto del conte Porro Lambertenghi. E via di seguito.. Certo per gustare con pienezza e piacere queste contaminazioni bisogna o aver vissuto il’68 o almeno essere informati della storia italiana e mondiale di quegli anni. Ma l’ aspetto che più mi è piaciuto e che ho sinceramente ammirato è il fatto che il Bianciardi uomo e intellettuale, allontanato dalla grande editoria, dalla grande città, dove si fa Cultura prende atto del suo fallimento, della sconfitta e si autoesilia in una piccola cittadina di provincia ligure ma … non perde la speranza. Lì a Nesci (nomen omen!!) che sarebbe Rapallo dalla sua cameretta in affitto ogni giorno scruta il “gabellino”, attende un segnale , perché lui non ha smesso di credere che la rivoluzione riprenderà e che i suoi compagni di lotta ritorneranno.
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