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Alain De Botton riesce ad arrivare al cuore delle questioni tra ciò che definiamo bello o brutto in architettura, con leggerezza ma mai superficialità; riesce a rendere la lettura interessante attraverso aneddoti curiosi, esempi accompagnati da bellissime foto in bianco e nero ma soprattutto mi sono piaciuti i vari spunti di riflessione che ha creato, ossia come la nostra percezione sia fortemente influenzata da questioni principalmente psicologiche, come tendiamo a definire bello un edificio che ci procura benessere, che ci ricorda quelle qualità che ammiriamo, che è un piacere visivo perché percepiamo in esso un ordine armonioso tra le varie parti, un'eleganza che è il risultato di una semplicità conquistata da grandi difficoltà. In realtà l'architettura fa parte delle vite di tutti noi, ci influenza l'umore, suscita sensazioni e riflessioni, ci commuove perché in essa rivediamo delle qualità, quell'armonia e quella sensibilità che abbiamo perso e alle quali aneliamo. 'Architettura e felicità' lo consiglio a tutti.
Adesso ogni edificio mi parla!! decisamente molto interessante!! proprio quel che mi piace e che mi ci voleva... ragionare sull'arte architettonica di questi ultimi secoli in modo chiaro e in modo da capirne la storia.. e il rapporto con le persone ...adatto a tutti, grazie a un linguaggio decisamente comprensibile e talvolta anche simpatico ...preso in prestito da biblioteca, ma forse merita l'acquisto per la mia libreria..
Fare il punto sull’architettura con pertinenza è un compito delicato che l'autore svolge alla perfezione. Uno sguardo raffinato ma non privo di senso pratico e la giusta, spensierata franchezza verso le figure più controverse dell’architettura contemporanea (a cominciare da Le Corbusier, altrettanto svizzero di nascita). Al centro del discorso ci siamo noi in quanto inquilini, passanti, passeggeri, visitatori. Noi e la nostra ricerca di bellezza che, nel caso dell'architettura è un sentimento da prendere sul serio. Ciò che "richiede che ci apriamo all’idea di lasciarci influenzare dal ciò che ci circonda" sapendo che "gli edifici sono in grado di placare solo in minima parte le nostre insoddisfazioni". Anzi, alcune volte la perfezione dei luoghi rischia di metterci a disagio. Di dare risalto "alla mediocrità che gli sta attorno". Di ricordarci quanto sono complicate le nostre vite. Tuttavia, ci rivolgiamo ai luoghi con esigenze precise. Ci servono per proteggerci. Ma anche per incontrare noi stessi. Anzi, per incontrare "una parte desiderabile di noi stessi e mantenere in vita i lati importanti, ma evanescenti, della nostra personalità". A volte gli edifici si prestano a diventare metafore morali perfette (gli edifici di culto, per esempio, con la costante evocazione di percorsi di avvicinamento a un ideale di bene). Oppure servono a raffigurare noi stessi attraverso "il linguaggio degli oggetti, dei colori e dei mattoni". A far sapere agli altri chi siamo e, con questo, ricordarlo anche a noi stessi. E questa immensa capacità di rappresentare le identità e le idee a volte risulta imperdonabile. Le mode e le ideologie passano, i luoghi e gli edifici possono restarne impregnati per sempre.
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