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Con straordinaria lucidità e rigore scientifico, Jean-Loup Amselle discute le ragioni che motivano la presenza sempre più costante dell'arte africana contemporanea all'interno dei maggiori circuiti artistico-culturali mondiali e, in generale, nella nostra società. A guidare la sua indagine, svolta in una prospettiva antropologica, c'è la convinzione che non si debba tanto riflettere sulla componente estetica dell'arte africana, quanto sul concetto stesso di "Africa", così come viene a delinearsi nell'immaginario collettivo occidentale. Qui il Sud del mondo non si traduce in un'immagine omogenea, anzi, si moltiplica in una serie di rappresentazioni "incrociate" che lo vedono da un lato come entità degenerata, corrotta e selvaggia, e dall'altro come luogo alternativo, periferico, fonte di rigenerazione per l'intera umanità. Questo spazio ambiguo (in cui "primitivismi" di ogni sorta si intrecciano con il "meticciato", il "riciclo" e il "trash") sembra offrire all'arte e alla cultura occidentali un inesauribile contenitore di alterità. L'Africa e l'arte africana, intesa nella duplice componente "tribale" e "contemporanea", sorgerebbero infatti in tutta la loro spontaneità, ben rappresentata dalla friche l'Afriche , accanto a un Nord planetario esaurito, museificato, incapace di reagire all'ossessione di un mondo avviato all'uniformità, alla globalizzazione e alla "vetrificazione". Tuttavia anche la friche, in veste di arte africana contemporanea, non è che una forma vetrificata di una presunta spontaneità, costantemente sottoposta dall'estetica universale occidentale a un processo di neutralizzazione dei reali rapporti di forza, contrasti ed equivoci compresi, che da sempre intercorrono tra l'Oriente e l'Occidente del mondo. È al chiarimento di questi rapporti che si rivolge l'"estetica politica"di Amselle. Francesca Falzini
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