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Arte e anarchia - Edgar Wind - copertina
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Arte e anarchia - Edgar Wind - copertina
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3
1997
4 febbraio 1997
240 p., ill. , Brossura
9788845912894

Valutazioni e recensioni

MARIO COBUZZI
Recensioni: 5/5

Le conferenze riunite in questo volume sono da tempo diventate un classico della riflessione sull’arte. Il merito di Edgar Wind è soprattutto quello di aver affrontato un tema spinoso,il ruolo che l’ arte contemporanea,dal Romanticismo in poi, ha assunto all’interno del sistema sociale. Un tema difficile e d’attualità,che porta Wind a mettere in discussione alcuni dei punti fermi delle teorie dell’ avanguardia- come, ad esempio, l’idea che gli artisti,attraverso una serie di azioni scandalose e controcorrente (anarchiche,come ci suggerisce il titolo),conquistano per se stessi e per le loro opere una carica disturbante mai conosciuta nelle epoche artistiche precedenti. Wind mette in discussione queste idee attraverso un confronto serrato col ruolo sociale dell’arte rinascimentale,un epoca in cui proprio le costrizioni che gli artisti dovevano subire a opera della committenza (esemplare il caso di Isabella D’Este) mettono in rilievo come l’arte avesse un ruolo centrale nell’insieme dei fenomeni sociali. Al contrario,la condizione dell’arte odierna,lasciata a se stessa,libera e sola,nel pressoché totale disinteresse della committenza e dello Stato,dimostra come essa abbia perduto il centro del mondo e sia stata relegata ai margini,sostituita da forze più imponenti:la Scienza,per esempio. Così l’arte contemporanea,che vive di una serie ininterrotta di “scandali”,vede perduta,in conseguenza della sua relegazione alla periferia del mondo,e nonostante le apparenze,quella carica anarchica e perturbante che le era stata propria fin dalla classicità greca. Per spiegare questa evoluzione (o forse è più giusto dire questa involuzione) Wind presenta una carrellata,completa e molto chiara,sulle idee filosofiche che si sono interessate al ruolo dell’arte nella società:si parte così da Platone,che avendo ben chiari i pericoli insiti nell’arte e più in generale nell’immaginazione,propone la censura come atto di difesa;e si giunge a Hegel,il profeta della nuova condizione periferica dell’arte,colui che aveva presentito la sua emarginazione all’interno dell’organismo sociale. Wind è molto chiaro:se l’arte è stata relegata ai margini,la colpa è anche sua;gli artisti,cioè, hanno avuto un ruolo primario nella riduzione dell’arte a fatto marginale:sono i movimenti moderni dell’arte per l’arte,o dell’arte pura,o del Modernismo che,mettendo al centro della creazione artistica la forma in quanto tale e lo sperimentalismo in quanto tale,hanno reciso i rapporti che l’arte intratteneva col mondo e con gli altri campi del sapere (secondo me quest’ultimo punto-la separazione dagli altri campi del sapere nell’arte contemporanea- è forse il più criticabile del discorso di Wind)- determinando la fine di quell’arte didascalica,irrimediabilmente svalutata dall’estetica romantica, che era stata predominante nelle società occidentali precedenti. E non solo;la colpa di questa situazione è anche degli storici dell’arte,colpevoli anch’essi di essersi concentrati esclusivamente sul dato formale:e così comincia un lungo discorso su Wolfflin (splendido!) e vengono spesso chiamati in causa Fry e Bell- e non bisogna dimenticare la splendida conferenza sul metodo morelliano che,come ricorda Carlo Ginzburg,ha contribuito in maniera decisiva alla rivalutazione di Morelli da parte della storiografia artistica. Quanto detto finora non è che un sommario incompleto e parziale degli argomenti trattati da Wind in queste pagine (fondamentale il discorso sulla meccanizzazione dell’arte,per esempio);basti solo pensare all’ampiezza dell’apparato di note,che da solo occupa metà del volume,vera e propria miniera di informazioni e giudizi critici (in una di queste,Wind ritiene che le opere monumentali di Picasso siano “dei giganteschi fallimenti artistici”). In conclusione,si può dire che “Arte e anarchia” di Edgar Wind ha forse un importanza del tutto particolare anche all’interno della tradizione iconologica,perché dimostra che questo indirizzo metodologico,nonostante il disinteresse sprezzante di Panofsky,può occuparsi con ottimi risultati anche di storia dell’arte contemporanea.

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