Le belle Cece - Andrea Vitali - copertina
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Letteratura: Italia
Le belle Cece
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Descrizione


Maggio 1936. Con la fine della guerra d'Etiopia nasce l'impero fascista. E Fulvio Semola, segretario bellanese del Partito, non ha intenzione di lasciarsi scappare l'occasione per celebrare degnamente l'evento. Astuto come una faina, ha avuto un'idea da fare invidia alle sezioni del lago intero, riva di qui e riva di là, e anche oltre: un concerto di campane che coinvolge tutti i campanili di chiese e chiesette del comune, dalla prepositurale alla cappelletta del cimitero fino all'ultima frazione su per la montagna. Un colpo da maestro per rendere sacra la vittoria militare. Ma l'euforia bellica e l'orgoglio imperiale si stemperano presto in questioni ben più urgenti per le sorti del suo mandato politico. In casa del potente e temutissimo ispettore di produzione del cotonificio locale, Eudilio Malversati, si sta consumando una tragedia. Dopo un'aggressione notturna ai danni dell'ispettore medesimo, spariscono in modo del tutto incomprensibile alcune paia di mutande della signora. Uno è già stato rinvenuto nella tasca della giacca del Malversati. Domanda: chi ce l'ha messo? E perché? Il problema vero, però, non è questo, bensì che fine abbiano fatto le altre. Dove potrebbero saltar fuori mettendo in ridicolo i Malversati, marito e moglie? Non essendo il caso di coinvolgere i carabinieri, per non mettere in giro voci incontrollabili, il Semola viene incaricato di risolvere l'enigma.

Dettagli

Tascabile
9 giugno 2016
240 p., Rilegato
9788811671848

Valutazioni e recensioni

  • Renzo Montagnoli

    La presenza del Maresciallo dei Reali Carabinieri Maccadò è una garanzia, nel senso che improntare la narrazione a una sia pur tenue venatura gialla fa sì che il romanzo possieda un fil rouge intorno al quale animare diversi personaggi, ma soprattutto il bonario investigatore. Nella storia di Le belle Cece non ci sono morti ammazzati, né rapine, bensì il furto di mutandine da donna. Già l’indumento può lasciar presagire uno sviluppo erotico, una vicenda di amorazzi carnali che non era rara in Piero Chiara, ma che invece latita nel quasi pudico Andrea Vitali, e se poi si inventa un personaggio come il sottocapo di manipolo Stelio Cerevelli, detto Dolcineo, un po’ effeminato e probabilmente omosessuale, e per non sbagliare gli si affianca un nero africano tale Buluc, tuttofare (forse anche quello...) del predetto Dolcineo, va da sé che quella sfumatura di giallo iniziale si colora di rosa. Gli ingredienti del pastone non sono finiti, perché ci sono anche le belle Cece, quelle del titolo, madre e figlia, due belle donne piuttosto vogliose, e se non bastasse c’è il marito della seconda, un ispettore di produzione del cotonificio, che è l’emblema della classica carogna, altezzoso, cattivo, e perfettamente cornuto, nonché il locale segretario del fascio, uomo che si crede d’azione e invece è un minchione. Carne al fuoco quindi ce n’è in abbondanza, ma quando è tanta si deve stare particolarmente attenti alla cottura, e il tal senso Vitali si impegna con encomiabile dedizione, non riuscendo tuttavia a evitare che qualcosa cuocia troppo e rischi di bruciare, nel senso che fino quasi al termine fila tutto liscio, ma poi si verifica l’intoppo, proprio quando Maccadò convoca in caserma tutti i protagonisti, un po’ come è abituato a fare Poirot. Quello è il momento della verità, è l’ora in cui deve essere fatta chiarezza, ma a dispetto dello scopo il Maresciallo s’improvvisa prestigiatore ed estrae dal cilindro la soluzione, non senza aver fatto un po’ di confusione. Posso dire che forse Vitali si è lasciato prendere la mano, ha dato troppa corda al suo investigatore e a un certo punto questi, libero dal vincolo del narratore, si è dovuto inventare una soluzione che, guarda caso, ha risvolti boccaceschi, un menage a trois, mamma, figlia e Buluc, ancor più tuttofare del solito. In ogni caso è il Vitali che ben conosciamo e, nonostante i limiti, quell’innesto rosa, con tanto di allusioni, è riuscito bene, ha dato tono e forza a un romanzo che si legge con piacere.

  • Questo libro rientra nel filone del Ventennio bellanese, e ne racchiude gli elementi tipici: il podestà, gli oppositori da paese, i carabinieri come forza a sè e la massa dei paesani. È un libro molto difficile da recensire perché è praticamente un sottogenere intero: o lo si ama, o ci si annoia. A me Vitali piace molto e perciò lo consiglio! Vitali racconta storie di un passato nel quale si riesce a immedesimarsi alla perfezione. Popolano e ironico, un suo libro è sempre un momento piacevole.

  • Che Andrea Vitali sia un autore prolifico, è cosa nota. Ma cosa ancor più nota, per chi lo ama, è che non si incorre mai l nel rischio di incappare in un flop. Ogni suo romanzo, dal più breve al più lungo, racchiude sempre uno scorcio di quell’Italia scomparsa di cui tutti abbiamo nostalgia! Lo stile è sempre quello: fresco, gioviale, allegro, inconfondibile. I personaggi, come sempre, sembrano calcare un palcoscenico: mai una battuta fuori posto, mai un errore. La storia scorre, i luoghi, ormai familiari, rendono la lettura un piacere per gli occhi e per la mente. Insomma, con Vitali non si sbaglia mai!

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