Beverly

Quante volte il fumetto indie americano ci ha catapultato nel bel mezzo della provincia USA per restituirne in un modo o nell'altro tutta la noia, il vuoto interiore, la claustrofobia, la cappa di paranoia e gli orrori sia reali che psichici di quella sterminata suburbia? A pensarci bene, è un filone talmente ricorrente e affollato che credo non serva nemmeno scendere in troppi particolari: dici indie e sai più o meno cosa aspettarti, villette con giardino e camicie di flanella incluse (sto volutamente semplificando, eh? Ogni tanto proviamo anche a divertirci, via).

Comunque: il Beverly di Nick Drnaso rientra appieno nella categoria di cui sopra, ma lo fa ricorrendo a un registro molto “reserved and unemotional” (per riprendere gli aggettivi con cui il fumettista descrive se stesso in un'intervista al Comics Journal) che rendono la lettura una faccenda parecchio straniante, del genere “se solo potessi sentire qualcosa”. Il risultato è un distaccato (ma anche elegante) ritratto di un Midwest sospeso tra tedio e solitudine, in cui la monotonia al sapor di psicofarmaco e le adolescenze crudeli nella loro normalità vengono rese da Drnaso attraverso griglie geometriche e “piatte”, dal color pastello sbiadito che contribuisce ad alimentare una sensazione di fredda immobilità.

Recensione di Valerio Mattioli