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A Napoli non ci sono innocenti. A Napoli siamo tutti colpevoli. E se, sulle responsabilità personali, sono inevitabili dei distinguo, su quelle sociali, storiche ed etiche della classe borghese non ci sono dubbi: La Camorra siamo (anche) noi. "La Camorra sono io" è un testo teatrale, con venature di giallo e un doppio finale a sorpresa. L'agile drammatizzazione, spesso comica, sarcastica e sempre surreale, coglie le diverse voci della città che parlano lo stesso linguaggio dell'illegalità diffusa. L'azione si svolge in un teatro. è una serata di beneficenza dedicata sia alle famiglie delle vittime della faida di Scampia, che a quelle dei killer latitanti che, quelle stesse vittime, hanno prodotto. In quest'uditorio, nel quale spiccano il I° Boss con la moglie e un II° Boss, fa improvvisamente irruzione un classico personaggio della società civile, un Borghese che, in una sorta di outing, rivendica la propria ideale appartenenza a un modo di agire, consortile ed omertoso, tipico del Sistema Camorra. Il confronto che ne scaturirà porterà in luce ciò di cui tutti parlano ma che raramente è stato evidenziato: a Napoli non esistono zone franche. Il Mostro è dentro di noi. è un Mostro prodotto non solo dal bisogno ma, troppo spesso, anche da una Cultura ambigua verso le Regole, la Legge e lo Stato. è la Cultura della tanto vantata furbizia (o "Cazzimma", come diciamo noi) e dell'auto indulgente "Creatività". è la Cultura della costante ricerca di un Padre sia esso un Re, un Sindaco o un Calciatore di talento. Leggendo il doppio finale a sorpresa de "La Camorra sono io", grottesco e simbolico, viene spontaneo parafrasare un verso de "La Canzone del Maggio" di De Andrè: "Anche se noi ci crediamo assolti, siamo lo stesso coinvolti ".
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