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Vincitore del Premio John Fante Opera Prima 2019.
Con la lingua precisa e affilata del poeta, Daniele Mencarelli ci offre con grazia cruda il racconto coraggioso del rifugio cercato nell'alcol, della spirale di solitudine, prostrazione e vergogna di quegli anni bui, e della progressiva liberazione dalla sofferenza fino alla straordinaria rinascita.Indice
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Bellissimo! Intenso, realistico, doloroso....Bellissimo
bellissimo, profondo, serio, intelligente, ben scritto. Dolore e poesia. Davvero notevole.
Un libro eccezionale, viene descritto in modo eccellente come può cambiare un uomo che osserva la realtò e che si lascia interrogare da questa.
Recensioni
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Non solo vita e disperazione, non solo degrado e morte (sociale e psicologica), qui c’è posto per la rinascita, per la resurrezione. Il dolore e la devastazione, la discesa agli inferi, con genitori impotenti al capezzale, con un perenne quotidiano oblio con cui fare i conti, sono vissuti dal protagonista del romanzo autobiografico di Daniele Mencarelli, La casa degli sguardi (228 pagine, 19 euro), pubblicato da Mondadori: il libro speciale, magistrale, in prosa di un poeta, destinato ad arrendersi all’alcol, alla solitudine, a un incidente, ai pianti, all’incoscienza e invece rinato dove un amico gli trova un lavoro, al Bambin Gesù, l’ospedale per l’infanzia del Gianicolo, a Roma, in una cooperativa che si occupa dei servizi. Chi, colpevolmente, come chi scrive, non si fosse accorto del passaggio in libreria di questo volume prezioso, si fidi, torni indietro.
La materia è incandescente, ma Mencarelli – che racconta una vicenda di fine anni Novanta – non cede mai alla retorica e nemmeno ala scrittura di versi fra le righe: si immerge in un altro mestiere, accettandone le regole, ma comunque sorprendendo, con sensibilità ed empatia. Il dolore intimo, individuale, personale del protagonista, tra i corridoi dell’ospedale, cede il passo a quello dei piccoli ricoverati, di certe loro vite che sono veloci calvari e si concludono con la morte («…se ci sei tu, Dio, dietro tutto, perché non hai preso me? O qualsiasi altro adulto sulla faccia della terra?»). La vita non sta nell’autocompatimento e nelle sbronze in cui annientarsi, semmai nel lavoro, anche umile, nel coraggio e nella lotta. Non bisogna aver paura della vita, sembra dirci Mencarelli e non è affatto scontato scriverlo, raccontarlo, viverlo, accendere una luce in modo consapevole…
Nella caduta e nella risalita il lettore che si accosta al romanzo di Mencarelli rintraccerà un’energia emotiva capace di lasciare, a lungo, riverberi dentro. L’intima riflessione tra le stanze dell’ospedale, gli schiaffi in faccia dell’estremo male e dell’estremo bene, il riscoprirsi uomini quando il dolore più incomprensibile e furioso sbatte addosso e si abbatte su anime innocenti (si pensi ad Alfredo, detto Toc Toc): ci sono tutte queste cose in pagine che vanno assaporate lentamente, per farci i conti davvero, anche quando disturbano, anche, soprattutto, quando non concedono alibi. È così che la memoria ha la meglio sull’oblio, i rapporti umani prevalgono sul vuoto, la poesia e la scrittura (che però da sola non è un farmaco ai mali della vita), sia pure dolenti, fanno evaporare il vino bianco e l’autodistruzione.
C’è un concentrato di sofferenza in questo libro da far impallidire i piccoli quotidiani impicci in cui possiamo imbatterci. C’è un uomo di venticinque anni fragile e forte, consapevole del dolore di cui è causa fra quanto lo amano, che ce l’ha fatta. Destabilizzato dall’alcol, ma ancor più dalla realtà con cui impara a fare i conti tutti i giorni. Eppure c’è gioia, in fondo, c’è anche un addestramento alla leggerezza (i maestri sono i colleghi del protagonista), c’è la vita. Mencarelli va apprezzato per il coraggio e aspettato per le prossime parole che vorrà regalare ai lettori. Se vorrà esprimersi in versi, in prosa, a gesti, muovendo le pupille, i suoi lettori, vecchi e nuovi, lo aspetteranno a braccia aperte.
Recensione di Arturo Bollino
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