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Condivido le opinioni di chi mi ha preceduto. Aggiungo: straordinaria la capacità di piegare il linguaggio alle necessità del vero. Ho molto apprezzato il lessico.
Una voragine di personaggi che si raccontano e raccontano, attraverso una scrittura MAI pesante o artificiosa, la propria vita e non solo in un piccolo borgo toscano. Dove tutti si conoscono e si amano (odiano) a modo loro. La cosa più bella è che progressione cronologia avviene nei racconti che si succedono. Non raccontano cioè un solo momento ciascuno a modo proprio, ma ciascuna racconta diversi momenti della storia avanzando cronologicamente. Se, per dire, Tizio parla di Caio nel primo capitolo, nell'ottavo capitolo Sempronio ci parla di Caio, ancora e scopriamo che magari è in ospedale per una indigestione (è solo un esempio, niente spoiler). Ciascun personaggio invecchia, progredisce e avanza nelle parole di ciascuno dei suoi compaesani. Scheletri nell'armadio, tradimenti, segreti e bugie. Ma il finale. Il finale è stupefacente. Ma perché di questo libro ho sentito parlare così poco? leggetelo!!!
Bellissimo libro e di facile lettura. Il finale è una poesia inaspettata. Consigliato.
Recensioni
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Nell’ultimo decennio, “ombelicale” pareva diventato l’insulto peggiore per un libro, un’autore o un’intera, supposta, letteratura, la cui ampiezza era forse il prodotto dell’infornata di esordienti seguita al successo avuto da alcuni di essi a metà anni zero: difficilmente, infatti, un autore al primo libro va troppo lontano dal proprio ombelico (né ciò è per forza un difetto: il recente Maestoso è l’abbandono di Sara Gamberini è un esempio di narrazione ombelicalissima eppure valida); se è vero, allora, che la “bolla degli esordienti” nel frattempo è esplosa, apparirà normale che oggi, cresciuti gli autori e tornate le case editrici a diffidare degli esordî, sboccino opere che vanno nella direzione opposta: quella della creazione di mondi. Al di là del distopico in voga, rispetto a cui sono appena arrivate sugli scaffali due interpretazioni italiane di grande originalità, Il grido di Luciano Funetta e Miden di Veronica Raimo, questa primavera vede l’avvento di almeno due lavori in cui la costruzione di un universo con proprie leggi, e la ricerca di verità ulteriori attraverso la rappresentazione che si svolge al suo interno, è il dato centrale…
…romanzi come Le case del malcontento di Sacha Naspini, a cui l’autore grossetano arriva dopo una bibliografia all’apparenza disorganica – ma a volte, negli autori di talento, la colpa di ciò è di un campo editoriale non sempre in grado di assecondarne il percorso – e in cui riannoda i fili gettati con le sue prime opere: le atmosfere sono quelle dell’esordio L’ingrato, uscito nel 2006 per effequ, e dei due romanzi che gli hanno dato una prima notorietà nazionale – I Cariolanti e Le nostre assenze (Elliot 2009 e 2012) – ma il respiro è ben diverso: quella che viene disposta nell’immaginario, e oltremodo arcigno, borgo maremmano delle Case è infatti una grandiosa partita a scacchi – di più: a Kriegsspiele – in cui il gioco di caratteri ha dell’universale, oltre che dell’abissale: la dimensione locale viene trascesa, sublimandosi in un assoluto dove le suggestioni ancestrali si fanno strumenti atti a raccontare una disperazione e una rabbia tornate a governare la coscienza collettiva del paese…
Vanni Santoni
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