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LAURENCE, MARGARET, Cavalli della notte, La Tartaruga, 1992
GORJUP, BRANKO (A CURA DI), Musica silente: racconti canadesi contemporanei, Abramo, 1992
recensione di Ricciardi, C., L'Indice 1993, n. 5
Qualcuno forse ricorderà il nome di Morley Callaghan, lo scrittore canadese esule a Parigi sul finire degli anni venti, con Hemingway, Fitzgerald e gli altri americani della "generazione perduta". Di poco più giovane, egli parve arrivare troppo tardi sulla scena degli anni ruggenti e l'Europa non gli assicurò, come a loro, fama e fortuna. Callaghan torn• nella provinciale Toronto, dove continuò a produrre romanzi e racconti, per lo più ambientati in quella città, oggi riconosciuti veri e propri classici dell'esile modernismo canadese. Pare dunque giusto che si sia voluto aprire "Musica silente" la prima raccolta di racconti canadesi in lingua inglese pubblicata in Italia, con il suo breve e incisivo "L'abito da sposa", una storia di comune squallore, ambientata in una desolante città di provincia, in cui un'ordinaria Signorina Schwartz per uscire dall'ordinario ruba quello che non può comprare.
Dopo la felice stagione ottocentesca, che dà i suoi frutti migliori nell'ambito della classica 'animal story' e dello 'sketch' illustrativo o umoristico o di sapore locale, il racconto in Canada passa per la lezione modernista di Callaghan, appunto, e il realismo diversamente sfumato - dal contesto storico, sociale e geografico - di F. P. Grove, S. Ross e H. Gardner. Tra timide svolte innovative e fedeltà a schemi tradizionali, come pure a tematiche regionali, si arriva agli anni sessanta, quando la narrativa breve si apre a nuove esperienze. Ed è esattamente questa svolta che l'antologia curata da Branko Gorjup presenta ora al lettore italiano, in dodici racconti estratti dal vasto laboratorio del Novecento.
Anche qui risulta bene come la metamorfosi si debba per lo più a mani femminili: E. Wilson, M. Gallant, M. Laurence, M. Atwood, A. Munroe, le quali, spesso recuperando una materia locale, riescono a trattarla col distacco e l'abilità di una professionalità ormai matura, facendo ricorso all'uso del mito o dell'ironia, del gioco intertestuale e del punto di vista limitato. Esse aprono la strada alle incursioni postmoderne degli anni settanta e ottanta con gli artifici metanarrativi di in Cohen, i drammi domestici di L Rooke e T. Findley, o il mondo beckettiano di B. Callaghan in "Musica silente", che dà il titolo all'intera raccolta. Ma è evidente come, via via che si arriva a narratori più recenti, l'elemento specificamente canadese - ad esempio, il sofferto rapporto con la terra, il confronto con le culture diverse, l'ansia della sopravvivenza - che aveva impegnato gli scrittori fino agli anni sessanta, si vada esaurendo, uscendo addirittura di scena in molti racconti postmoderni. Si veda, ad esempio, "Inverno a Victoria" di L. Rooke o "Cena sul Rio delle Amazzoni" di T. Findley: nonostante la precisa collocazione spaziale suggerita dai titoli, essi sembrano ambientati in una terra anonima, in una casa o periferia qualsiasi, e potrebbero davvero essere un prodotto non canadese, ma l'espressione di una più generale "commedia" umana, molto vicina all'esempio di Raymond Carver. E questo è un fatto nuovo nella letteratura canadese.
Ma forse si tratta anche di una scelta intenzionale da parte del curatore, che avverte: "lo scopo di questa antologia non è suggerite che questo o quell'elemento presente nei racconti scelti costituisca l'unicità dell'esperienza canadese o conferisca alla raccolta una giustificazione logica del suo titolo. Tali atteggiamenti finiscono spesso per ridursi a mero tentativo da parte del curatore di far quadrare il cerchio. Al contrario, questi racconti sono stati scelti esclusivamente sulla base del valore letterario intrinseco e della loro peculiarità". Tuttavia, sembra pure vero che lo scrittore (anche francofono) tende ormai a ignorare quelle che sono state le dicotomie che per secoli hanno lacerato l'anima del Canada. Tale superamento è riconoscibile anche nella scrittura adottata dalla nuova generazione che, afferma ancora Gorjup, ha oggi avviato una "decolonizzazione" del linguaggio e una decostruzione delle icone e dei miti culturali, mentre coltiva una maggiore discontinuità narrativa, con rifrazioni di prospettive multiple e altre forme sperimentali. L'antologia da lui curata mostra molto bene quanto è accaduto anche in tale direzione, e basterebbe porre a confronto i racconti dei due Callaghan - Morley, il padre; e Barry, il figlio - per una palese evidenza.
Negli ultimi anni, scrive Agostino Lombardo nella sua incisiva prefazione a "Musica silente", abbiamo assistito a operazioni di mercato soprendenti "grazie alle quali minimalisti americani davvero minori se non inesistenti vengono tradotti quasi prima d'aver completato i loro libretti", mentre si lascia indietro tanta parte meritevole del patrimonio letterario canadese. Una giusta precisazione e un richiamo ai valori autentici anziché alle mode, cui sembra rispondere subito La Tartaruga proponendo "Cavalli della notte", una raccolta di racconti di Margaret Laurence, forse la figura più notevole dell'ultima narrativa canadese.
Si tratta di un ciclo di otto racconti, pubblicato nel 1970 col titolo "A Bird in the House" (Un uccello nella casa): un amaro ritratto di famiglia, inquadrato nella crisi dei valori del vecchio pionierismo. Le otto storie si incentrano in modo particolare sulla formazione di una bambina, Vanessa, una delle protagoniste di una più vasta saga (che comprende altri quattro romanzi), ambientata a Manavvaka (trasposizione di Neepawa, la città natale della Laurence), nel Manitoba, sul cui complesso milieu culturale ha già scritto acutamente Claudio Gorlier anche su queste stesse pagine (ottobre 1991), in occasione della pubblicazione (ancora presso La Tartaruga) de "La prima volta di Rachel" (1966), il secondo romanzo della serie.
Con la Laurence siamo davvero agli antipodi del minimalismo, persino in questi racconti di Vanessa, che pur si presentano in uno stile più lirico e miniaturizzato al fine di aderire meglio a una vicenda adolescenziale. Ma l'intreccio di voce, scrittura e discorso, articolato in una dimensione temporale stratificata e non lineare, è ben più complesso di quanto non risulti alla superficie.
Qui si seguono le strategie di un io narrante diviso fra esperienza diretta nel mondo della sua infanzia e flusso di memoria. Entrambi convergono nella ricerca di una scrittrice che rivisita i fantasmi del proprio passato per scoprirvi quelle radici ancestrali che sole possono dare corpo e voce alla sua identità (Irlanda e Scozia, bianchi e meticci, nomi indigeni e animali in estinzione, il "puritanesimo della prateria", il primitivismo e i misteri della natura canadese, la depressione degli anni trenta). E mentre, attraverso l'atto del narrare, la protagonista scopre la propria identità, riesce al contempo a decantarla di tutto ciò che nel corso della sua educazione l'ha soffocata: i feticci e le ipocrisie di un Canada ancora coloniale, calvinista e soprattutto patriarcale. Non a caso la tensione più forte si instaura nel rapporto della bambina con il vecchio nonno, il gelido e autoritario pioniere, una fortezza da espugnare ed esorcizzare, anche per dar vita al racconto, che inclina decisamente alla formulazione di un nuovo discorso.
Si tratta, pare ovvio, di un discorso femminile, che comunque sembra poter esistere solo in ragione e in virtù di quel passato patriarcale, di cui si riconoscono le manchevolezze come pure i valori. E allora la vicenda di Vanessa ci fa avvertire allo stesso tempo un risveglio più diffuso nel corpo della nazione, un'emancipazione dell'anima canadese, che esattamente negli anni della stesura dei racconti di "Cavalli della notte" avviava una precisa opera di revisione della propria storia.
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