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Anno edizione: 2014
Anno edizione: 2010
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Cavalli selvaggi è probabilmente il libro più "solare" di Cormac, anche se non possiamo definire l'"attitude" di McCarthy come positiva. Un mondo che non esiste più - quello dei cow boys texani, con i loro cavalli e la prateria; un mondo cancellato dal progresso e dalla guerra mondiale; un mondo che sta arrivando lentamente con le sue automobili che tracciano solchi nelle strade fangose, le radio costruite partendo dai pezzi spediti per posta e i pozzi di petrolio che sfigurano il cielo. I due protagonisti non accettano la trasformazione e quindi intraprendono un viaggio in Messico alla ricerca - vana - di una vita semplice dettata dalle regole dei cow-boys, appunto. Vengono travolti da una serie di vicissitudini che li portano alla reclusione in un "penitenziario" messicano in cui vigono le usuali regole del più forte. Segue un processo di redenzione dall'inferno che porterà uno dei due protagonisti a ritornare a casa mentre l'altro proseguirà sulla strada di un eroismo di frontiera sempre più disperato e in via di tramonto. I personaggi di "Cavalli selvaggi", rispetto agli altri romanzi di Cormac McCarthy, sono più delineati e umani e quindi suscitano una maggiore empatia; il periodare e il pessimismo a mio avviso estenuante - che è classico dello scrittore - fanno deragliare la trama in una serie di "cliché" banali che alla fine rovinano quello che poteva essere un gran bel libro di frontiera. Se non siete amanti sfegatati della narrativa americana direi che la conoscenza di Cormac McCarthy può quindi limitarsi a questo libro che è, a mio avviso, comunque il miglior riuscito della "tirlogi9a della frontiera" etc. (qualcuno dirà figuriamoci se non lo considerava il migliore, ma tantè...) Mi risparmierei quindii i paragoni con Hemigway in quarta di copertina, mentre la recensione di Saul Bellow (premio nobel letteratura 1976) - sempre in quarta - visto quello che ho scritto e penso mi suona un pò ironica.
Straordinario. Basta aprire il libro su una pagina qualsiasi, leggerne qualche riga e d'improvviso lo spazio si dilata, i contorni sfumano e il confine è molto lontano, segnato dai monti messicani e illuminato dalla luce violacea del crepuscolo. McCarthy mette in scena un western apparentemente lento, riposato, riflessivo, dalle lunghe riprese sulla natura selvaggia e indugia sui corpi giovani dei cowboy seduti attorno al fuoco. Il silenzio maestoso delle notti stellate e le poche parole scambiate dai cavalieri, in sella ai loro cavalli selvaggi, creano un'atmosfera da cui è impossibile staccarsi, anche dopo aver chiuso il libro. L'azione rompe la calma nei momenti più inaspettati, e ci si ritrova improvvisamente, senza difese, nella polvere alzata dalle giumente di montagna, inseguiti da messicani armati e di notte, con la luce soffusa, nudi nel letto con Alejandra, giovane e ribelle.
Due ragazzini del Texas fuggono con i loro cavalli in Messico, dove diventeranno uomini troppo in fretta in un crescendo di avventura, amore, violenza e vendetta. Un racconto di frontiera narrato con una scrittura arida ed al tempo stesso poetica come i paesaggi descritti ed i personaggi. Quanto ai frequenti termini spagnoli rimasti tali nella versione italiana, consiglio di lasciarli al loro posto nel contesto senza interrompere la lettura per cercare una traduzione spesso inutile. Il romanzo è uscito singolarmente e come primo capitolo della Trilogia della frontiera.
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