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Ci si accorge quotidianamente di quanto sia veritiero l'adagio diffuso tra gli studiosi: "Non c'è nulla di più inedito dell'edito". Capita spesso, infatti, che il moltissimo materiale (letterario, documentario) elaborato dalla erudizione positivistica tra secondo Ottocento e primo Novecento finisca dimenticato, e nodi già sciolti della trama storica tornino ad annodarsi; e magari si "scoprano" cose che già altri, decenni prima, avevano pubblicato. Contro questo rischio, presentissimo in tutte le discipline storiche (ivi comprese, naturalmente, la storia letteraria e la storia dell'arte), non c'è che un antidoto, per quanto faticoso: ripercorrere quella imponente produzione, spesso sparsa su riviste e bollettini, talvolta nascosta sotto titoli apparentemente poco interessanti.
Non si può che essere grati, quindi, se talvolta questi lavori vengono ripresentati in nuove edizioni, facilmente reperibili, metodologicamente e filologicamente consapevoli quando ci si potrebbe limitare a brutali ristampe e, cosa assolutamente non secondaria, ben indicizzate. Si tratta esattamente del lavoro svolto da Simone Albonico, con la collaborazione agli indici e agli apparati di altri studiosi (Alessandro Della Casa, Maria Finazzi, Stefania Signorini, Roberto Vetrugno) nei confronti del lavoro su Isabella d'Este comparso a puntate sul "Giornale storico della letteratura italiana" tra 1899 al 1903. Il lavoro nasceva dall'incontro di un archivista già di lungo corso come Alessandro Luzio (1857-1942) e da uno storico della letteratura italiana formato sul "metodo storico" come Rodolfo Renier (1857-1915), e si poneva come monumento propriamente ufficiale del "culto profano" della marchesa di Mantova Isabella d'Este. Proprio alla curiosa idolatria per Isabella, iniziata con gli studi di metà Ottocento di Carlo d'Arco (inseriti però nel contesto di un'attenzione territoriale a Mantova, da cui scaturisce anche la celebre monografia su Giulio Romano, in edizione definitiva nel 1842), e che arriva a toccare Marcel Proust e, più pesantemente, Gabriele D'Annunzio (si pensi al Forse che sì forse che no del 1910), è dedicata l'introduzione di Giovanni Agosti, che mette a fuoco anche le premesse culturali dei due autori. Si tratta di un curioso "mito moderno", caro all'idea di "Rinascimento" diffusa tra i due secoli, e che, come avviene per altri addentellati di questo immaginario (si pensi al "mito" di Leonardo da Vinci), concilia stranamente positivismo e pulsioni estetizzanti.
Ma al di là dell'indubbio interesse per la storia della cultura italiana postunitaria, il lavoro di Luzio e Renier è utile per gli studi del "qui e ora": la quantità di documenti, notizie, riferimenti bibliografici, spunti di ricerca (anche preterintenzionali), oggi troppo spesso desueti, rappresenta un'autentica miniera, a patto che il lavoro del ricercatore non si limiti a una "pesca miracolosa" coadiuvata dalla capillarità degli indici approntati, ma sappia ripercorrere le notizie offerte in questo libro collocandole in nuove, meditate serie storiografiche. Non c'è dubbio, infatti, che la parte più obsoleta dell'impostazione di Luzio e Renier stia proprio nella struttura della loro ricerca, che dopo una lunga introduzione, sempre un po' in odore di agiografia, sulla "coltura" della marchesa, passa in rassegna i letterati che furono in rapporto con lei dividendoli in "gruppi" creati secondo criteri geografici (mantovano, ferrarese, lombardo, veneto, emiliano, Italia centrale, meridione). Ne risulta una cesura inesistente nella realtà, e per paradosso è proprio la "coltura" di Isabella nel suo divenire, nel trascorrere delle mode e degli interessi, a riuscirne inevitabilmente sfocata.
E tuttavia è poi tale il divertimento, oltre che l'utile, nel ripercorrere le molte lettere di e a Isabella con i letterati (tra cui anche personalità di primissimo piano come Castiglione. Sannazaro o Ariosto), che ogni altra considerazione passa in secondo piano. In definitiva, si tratta di un libro che si può leggere almeno su due livelli (non necessariamente separati): quello storiografico, dell'uso del materiale d'archivio e letterario da parte di due classici studiosi di impostazione positivista, e quello inteso a ripercorrere le relazioni tra le corti italiane del Rinascimento, e tra esse e letterati, poeti, filosofi. Ne esce fuori, con percorsi tra i "gruppi" regionali spartiti da Luzio e Renier che ogni studioso può rintracciare secondo i propri interessi, un quadro complesso e affascinante, in cui numerosi sono anche i riferimenti alle vicende artistiche o a quelle religiose.
Edoardo Villata
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