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Sembra incredibile quante emozioni possano essere racchiuse in un un racconto così breve. Una narrazione emozionante e struggente
Il passato entra in scena sempre, slitta di continuo e bussa con nocche mai stanche al centro di ogni coscienza. Se poi si aggiungono il passo della Storia e gli echi di pagine epocali (nello specifico l'Ottobre del '17) ogni balzo d'anima si accentua e si rinfocola nel corso della narrazione. La neve che cade su Parigi è la stessa di quella che copriva Kiev tanti anni prima, la voce di quei vecchi giorni di colpo si rinsalda nello spirito come un gancio interiore che non ha mai ceduto. E' la storia di una fedeltà incancellabile, di una domestica che abbraccia la vita e il destino dei suoi padroni senza mai avere ripensamenti. Eccoli in Francia, esuli fuggiaschi da quelle prove durissime: "Camminavano avanti e indietro da una parte all'altra, in silenzio, come le mosche d'autunno, allorché, passati il caldo e la luce dell'estate, svolazzano a fatica, esauste e irritate, sbattendo contro i vetri e trascinando le ali senza vita". Saranno tempi complicatissimi, bisogna industriarsi a fare qualcosa, si pensa a mettere su una bottega di anticaglie, tutti pezzi di loro proprietà, tirare avanti. Tatjana viene via via vista come un ingombro, un peso difficile da mantenere. Ma è lei stessa a salvarsi da sola andando indietro a quei giorni di incanto, in quella villa sontuosa dove lei regnava e governava nel rispetto di ognuno. Sarà quel vento a darle alito e coraggio nella scelta a cui si darà. E qui arrivano i passaggi bellissimi del racconto, la lenta solitudine lucida di una donna che si aggrappa a quella neve antica per darsi la forza e la spinta verso il passo finale. La Senna diventerà una sorella a cui consegnare le membra, parrà non accorgersi di nulla. La fede, la croce, sosterranno i suoi passi, qualcosa come un'infantile beatitudine meravigliosamente toccata. Intensissimo libro, tanto amaro nel suo realismo impetuoso quanto potente nel ritrarre un'anima che sa fissare in volto il limite della vita. Traccia di biografia sofferta, ma soprattutto di pudore grandioso.
Irene Némirovsky nei suoi romanzi riporta in parte la propria esperienza di esule con una sorta di rimpianto per il paese natio. In questo senso la figura della protagonista di Come le mosche d’autunno, la vecchia njanja Tat’jana Ivanovna, governante di casa Karin, riassume, per quanto spinta all’eccesso, quell’innata nostalgia che doveva aver provato la narratrice russa. In quella casa si ha l’impressione che ci sia sempre stata e il rapporto di lavoro, poco a poco, ha assunto caratteristiche diverse, si è radicato in Tat’jana un affetto profondo per quella famiglia. I vecchi padroni, i signorini, insomma i padroni per lei non sono tali, sono quasi dei padri, dei fratelli. Un tempo lì la vita era trascorsa tranquilla, ma poi, con l’avvento del nuovo secolo, si era manifestata in Russia un’agitazione per molti incomprensibile e, fra rivendicazioni di una maggior libertà, si era arrivati allo scoppio della prima guerra mondiale e infine alla rivoluzione, alla fuga dal paese dei nobili e dei ricchi. Questa era stata la sorte della famiglia Karin, esule in Francia, a Parigi, sempre presente la governante Tat’jana. Ambientarsi a una nuova vita non è sempre facile e se ciò non risulta difficile per i giovani rampolli, che non hanno fatto in tempo a fossilizzarsi in un’esistenza sul suolo russo e avendo davanti a sé molti anni per abbracciare un nuovo corso, per i genitori, più anziani, è un vero problema e dapprima trascorrono il tempo camminando da una parete all’altra del loro appartamento, come le mosche in autunno, e infine riescono a dare una svolta, perché l’istinto di sopravvivenza è nei più duro a morire. Non sarà così per Tat’jana, legata visceralmente ai propri ricordi, alla neve che in quella città le manca tanto. Le pagine scorrono veloci, avvincono il lettore, l’analisi dei personaggi è approfondita, ma lo stile snello non appesantisce, è in grado di fornire una serie di quadri che restano scolpiti nella mente come memorie non nostre, ma fatte nostre.
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