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Anno edizione: 2007
Anno edizione: 2013
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E’ indubbio che nei romanzi si ritrova anche l’esperienza maturata dall’autore, un po’ della sua vita e in Irene Némirovsky ciò è particolarmente accentuato, esule come aveva dovuto essere e inevitabilmente con una sorta di rimpianto per il paese natio. In questo senso la figura della protagonista di Come le mosche d’autunno, la vecchia njanja Tat’jana Ivanovna, governante di casa Karin, riassume, per quanto spinta all’eccesso, quell’innata nostalgia che doveva aver provato la narratrice russa. In quella casa si ha l’impressione che ci sia sempre stata e il rapporto di lavoro, poco a poco, ha assunto caratteristiche diverse, si è radicato in Tat’jana un affetto per quella famiglia non sua perfino superiore a quello che avrebbe provato se lei stessa ne fosse stata membro dalla nascita. I vecchi padroni, i signorini, insomma i padroni per lei non sono tali, sono quasi dei padri, dei fratelli. Un tempo lì la vita era trascorsa tranquilla, ma poi, con l’avvento del nuovo secolo, si era manifestata in Russia un’agitazione per molti incomprensibile e, fra rivendicazioni di una maggior libertà, si era arrivati allo scoppio della prima guerra mondiale e infine alla rivoluzione, alla fuga dal paese dei nobili e dei ricchi. Questa era stata la sorte della famiglia Karin, esule in Francia, a Parigi, sempre presente la governante Tat’jana. Ambientarsi a una nuova vita non è sempre facile e se ciò non risulta difficile per i giovani rampolli, che non hanno fatto in tempo a fossilizzarsi in un’esistenza sul suolo russo e avendo davanti a sé molti anni per abbracciare un nuovo corso, per i genitori, più anziani, è un vero problema e dapprima trascorrono il tempo camminando da una parete all’altra del loro appartamento, come le mosche in autunno, e infine riescono a dare una svolta, perché l’istinto di sopravvivenza è nei più duro a morire. Non sarà così per Tat’jana, legata visceralmente ai propri ricordi, alla neve che in quella città le manca tanto. Come le mosche d’autunno, più che un romanzo breve, mi pare un racconto lungo, intenso, drammatico, venato da una dolente nota di malinconia, permeato dal rimpianto per ciò che fu e che poi non sarà più. Le pagine scorrono veloci, avvincono il lettore, l’analisi dei personaggi è approfondita, ma lo stile snello non appesantisce, è in grado di fornire una serie di quadri che restano scolpiti nella mente come memorie non nostre, ma fatte nostre.
Romanzo breve o racconto della nostalgia di casa, ma soprattutto dei vent'anni. Tratteggiati con colpi rapidi e intensi, i personaggi si staccano dalle righe per guidarci nel passaggio della storia: la fine dei "barin" e la rinascita dell'aristocrazia russa nella Parigi degli anni Venti. Ho amato Jurij, che non era il preferito della madre ma certo della vecchia nutrice sì.
breve ma intenso. quasi non cita la rivoluzione, eppure ne evidenzia le conseguenze più drammatiche.
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