I concerti di Parigi

Quando il patrizio tedesco von Uffenbach, in soggiorno a Venezia per il carnevale del 1715, riuscì finalmente a incontrare Vivaldi e a ordinargli “10 concerti grossi”, si vide riapparire in capo a tre giorni il compositore con tutta la musica richiesta e l’assicurazione d’averla composta espressamente per lui. Vivaldi era sì un compositore rapidissimo, ma altresì un capace e sfrontato manager di sé stesso. Anche la raccolta di dodici concerti per archi ora conservata a Parigi ci appare come il frutto d’un assemblaggio celere e astuto di lavori già composti e musica (poca) nuova, lo stesso modus operandi che segnerà la genesi dell’opera X e di tante altre raccolte vivaldiane. Ma Vivaldi è un compositore eccellente, e così come un bravo attore riesce ad assumere i sembianti d’un personaggio indossando semplicemente un cappello o imitandone un gesto, così egli riesce a tratteggiare con poche pennellate tutta l’enfasi d’una entrée francese nell’esordio del Concerto V, oppure a calarsi repentinamente nella più compassata melancolia quando la sua inusuale Ciaccona volge al minore. Anche l’ultimo movimento del Concerto II, per indifferente che possa sembrare, è un rarissimo esempio di menuet en rondeau camuffato da Allegro all’italiana. L’esordio del Concerto I poi, che pur appartiene al gruppo dei lavori più antichi, dev’essere stato collocato da Vivaldi ad apertura della raccolta perché si presentava come una chaconne in tempo binario. Sono questi i distintivi elementari, vistosi e pur efficacissimi, che siglavano l’idea d’un gusto e d’uno stile ben riconoscibile, lo stesso che informava il Domine Fili del Gloria RV 589, l’aria Tornar voglio dell’Arsilda, il coro finale del Giustino. Federico Maria Sardelli guida lo storico ensemble barocco Modo Antiquo in questa imperdibile incisione del 1991.