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Anno edizione: 2015
Anno edizione: 2006
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I libri di Domenico Losurdo sono caratterizzati da grande rigore scientifico e profonda conoscenza della filosofia politica e della storia della filosofia almeno dal '600 sino ai giorni nostri. Forse invece, non con eguale disinvoltura questo grande studioso si muove tra i meandri della filosofia antica. Losurdo muovendosi sulla storia e sui fatti ha bisogno di attenersi ai documenti storico-cronachistici per supportare il suo discorso che è si compiuto e completo, ma anche specialistico. Nel caso di "Controstoria del liberalismo" la critica losurdiana al liberalismo passa attraverso la spiegazione del pensiero contraddittorio di J.Locke e di A. de Tocqueville ad esempio, che esaltano la libertà individuale e pongono le basi per la limitazione del potere politico della maggioranza sulla minoranza. Purtuttavia J. Locke non esiterà a dire che "Ogni proprietario di schiavi della Carolina ha potere di vita e di morte su ognuno di loro". E Tocqueville si guardò bene dall'esprimersi contro l'abolizione della schiavitù in America.Per Losurdo il liberalismo esclude il popolo, i molti che non godono della liberta'di pochi eletti. Tutto vero, però la lettura ideologicamente intrisa di marxismo di Losurdo gli impedisce di scorgere che le democrazie occidentali liberali hanno sempre sviluppato al loro interno una dialettica di contrappesi alla espansione incontrollata del profitto capitalistico. La tradizione liberale ha prodotto associazioni, sindacati, filosofi come A. Smith, A. Ferguson, J.G. Fichte e altri che hanno reso il liberalismo meno selvaggio di quello russo, asiatico, sudamericano, proprio perché i paesi liberali hanno limitato la voracità capitalistica. Mentre è evidente che il profitto più selvaggio e incontrollato è quello presente negli Stati privi della tradizione liberale, nei quali la deregulation raggiunge livelli superiori di quella pur presente nei paesi occidentali di tradizione liberale che hanno avuto 4 secoli per convivere col mondo del capitale.
In effetti questo, come un po' tutti i libri di Losurdo, potrebbe esser utilizzato non nel migliore dei modi se si cercassero innanzitutto risultati teorici particolarmente originali; Losurdo, lo si sa, è un vetero-comunista senza ripensamenti. Ma detto questo, vi sono pochi autori nella storiografia filosofica italiana e non, che scrivono libri più preziosi per il lettore colto. Il dominio della letteratura critica di Losurdo è in genere assolutamente impressionante; le citazioni sempre puntuali e pertinenti; esemplare la chiarezza della prosa e la premura a farsi capire (il che mostra un rispetto per il lettore anche non iniziato che è tutt'altro che comune nella saggistica universitaria italiana); anche i giudizi personali dell'autore sono sempre chiaramente individuabili rispetto all'esposizione propriamente storica. Così chi vuole avere un panorama ampio e organico del pensiero politico otto-novecentesco può leggere le sue opere con grandissimo frutto.
Davvero interessante questa storia del liberalismo nei secoli dal punto di vista della schiavitù: fa luce sulle sue vere radici sociali, culturali ed economiche, anche se l'autore non ha la forza di concludere creando una teoria coerente, dopo tanta carne messa sul fuoco.
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