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Di questo libro, che raccoglie le ultime lezioni tenute da Foucault al collège de France prima di morire, ho letto solo la parte dedicata alla descrizione dell'aleturgia e ne sono rimasta folgorata. Per il sociologo, l'aleturgia è una disposizione etica, un "dire e un vivere per il vero" che si è realizzata completamente nell'esistenza dei cinici, in cui Foucault intravede il vero significato della vita filosofica, una vita "abbaiante", da cane da guardia, che dimostra con i fatti come ci si deve comportare davanti a certe situazioni. L'alerurgia è, quindi, la messa in pratica della parresia, intesa come attività discorsiva - esplicitatasi magistralmente nella vita politica ateniese, nella democrazia periclea - in cui verità e opinione coincidono. Poiché,infatti, la politica è praxis, ovvero un'azione in cui la posta in gioco è la verità, non basta, secondo Foucault, dire la verità che diciamo e che pensiamo, ma bisogna essere in grado di incarnarla nelle nostre azioni, scegliendo un modo di vivere in relazione con la verità, che ci consenta, cioè, di mostrare agli altri il rapporto che intratteniamo con la verità, ovvero, in altre parole: chi siamo . Il cinico in questo è stato un campione di verità, perché ha scelto un'esistenza randagia, indifferente ai bisogni e scevra dal lusso, ma al tempo stesso fedele al rigore morale. Non a caso l'espressione "cinico" deriva da "kunos" che significa appunto "cane". La vita cinica è una vita autentica, non dissimulata, che sa smascherare la falsità di ogni condizionamento sociale e, più in generale, del potere, perché il cinico non è solo un re di resistenza che combatte per cambiare l'umanità nelle sue convenzioni e convinzioni, ma è prima di tutto l'anti-re che, davanti ai sovrani seduti sul trono, ha il coraggio di rivelare agli altri uomini quanto può essere ingannevole la "regalità politica". Tristemente vera e soprattutto attuale la metafora del cinismo come specchio infranto della filosofia.
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