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"La cultura del secondo dopoguerra ha cercato in tutti i modi di sbarazzarsi di quell'uomo che marchiò il proprio tempo e influenzò il futuro, alternando l'indifferenza alla condanna, totale e preventiva". Giordano Bruno Guerri punta il dito contro la diffidenza ideologica verso D'Annunzio, disinibito interprete del superomismo e rapisce la curiosità del lettore attraverso il travolgente incanto dei dettagli inediti del "calderone esistenziale" del vivere inimitabile dell' amante guerriero con disincatata verità di biografo e di giornalista, rivelata attraverso la cura diligente della sua scrupolosa documentazione, che si snoda scorrevolmente grazie ad una leggerezza stilistica di ogni singolo capitolo. La vita dell'unico intellettuale italiano a respiro europeo di geniale intelligenza, di esuberante egocentrismo, di inevitabile solitudine. Instancabile attivista ed interventista visita le retrovie dei campi di battaglia, per distribuire ai soldati pacchetti di sigarette, barattati in cambio di cartoline da impostare a Parigi. Colpisce una lettera, datata 1926 e indirizzata al Duce, in cui il Vate lamenta di essere scarsamente celebrato dal fascismo. Ha intuito che si vuole "svalorizzare il D'Annunzio" : "queste cose non scrivo per lamentarmi. La mia gloria vera è quella che splende nell'altro secolo. Le scrivo per dimostrare a me e a te che tu diffidi di me". Guerri ammette con onestà intellettuale che "D'Annunzio fu anche il Giovanni battista del fascismo", lo stesso che a Fiume si rivelò " l'inventore di una democrazia e di una modernità che anticipava le costituzioni più avanzate della seconda metà del Novecento". Per il Poeta l'essenza del "nobile" consiste nella sovranità interiore. Riscoprirlo significa "assegnargli il posto che gli compete fra gli Italiani", di cui " fu un campione smisurato e che ci somiglia troppo per essere amato".
Interessante e scritto molto bene, come sempre Bruno Giordano Guerri non si smentisce.
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