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Cosa vuol dire tradurre? La domanda è meno peregrina di quanto appaia. Se ci fosse una risposta precisa, non ci sarebbe alcun problema almeno in linea di principio ad avere una traduzione automatica o perlomeno una teoria della traduzione: ma entrambe le cose non esistono. In passato, anche Umberto Eco si era cimentato nel raccontare la sua idea di traduzione, come vista dal punto di vista un po' di sbieco dato dalla semiotica; in questo libro raccoglie il testo di alcune sue conferenze e seminari, rivedendolo per uniformarlo. Come sicuramente immaginate, più che di traduzione si parla di Eco: con l'autoreferenzialitàche gli era solita, scrisse subito che riteneva che gli unici a poter parlare di traduzione sono gli autori che hanno tradotto e inoltre sono stati tradotti, e quindi parla solo di opere sue in un sensoo nell'altro. Una volta accettata questa premessa e il corollario che l'opera è infarcita di citazioni in varie lingue (per fortuna romanze e anglogermaniche...), il testo si fa leggere bene come prosa. Limitandomi io alla prima metà delle caratteristiche richieste - nessuno ha mai tradotto i miei libri, e comunque scrivo saggistica e non letteratura - non sarei titolato a dare un giudizio: ma faccio finta di niente e confermo che i punti trattati da Eco nella prima parte sono quelli che un qualunque traduttore degno di questo nome conosce più o meno esplicitamente: se non avete mai tradotto, capirete finalmente perché più che di traduzione si dovrebbe parlare di negoziazione. Poi il semiologo prende il sopravvento e comincia a parlare di "traduzioni" che traduzioni non sono, essendo più che altro tentativi di rendere in modi e media diversi "quasi la stessa cosa". Qui mi sono perso, anche perché più che una teoria abbiamo un florilegio di esempi. In definitiva credo che il testo sia più che altro utile a chi non ha mai pensato a cosa sta dietro alla versione tradotta del libro che sta leggendo.
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