Un diritto incalcolabile
Le pagine, raccolte in questo libriccino, descrivono il tramonto, o la crisi, di un circolo logico, su cui riposa il moderno Stato di diritto. Dove: decidere la controversia, giudicare torto e ragione, applicare la legge, coincidono appieno, e l’uno sta per l’altro. Decidere la controversia è porvi termine, sciogliere dubbi di fatto e ambiguità interpretative, preferire una soluzione fra le molte possibili. Il decidere si appoggia sul giudicare; non nasce dal nulla, non è puro atto di volontà, ma risultato di un raffronto fra ciò che la legge ha previsto e ciò che è accaduto, tra antecipazione di ieri e realtà di oggi. In codesto raffronto risiede l’applicazione della legge. È famosa la proposizione del barone di Montesquieu, irrisa da zelanti o incolti novatori: “Mais les juges de la nation ne sont, comme nous avons dit, que la bouche qui prononce les paroles de la loi; des êtres inanimés, qui n’en peuvent modérer ni la force ni la rigueur” (Esprit des Lois, XI, chap. VI). Vi si esalta e garantisce la grandezza del giudizio legale, la relazione di coerenza e lealtà fra norma e decisione del caso concreto. Il giudizio, convertendo le ‘parole della legge’ in ‘parole della sentenza’, decide la controversia, in modo ‘inanimato’, cioè oggettivo e impersonale. Il circolo logico, di che sopra si è discorso, assicura la calcolabilità delle decisioni giudiziarie, le quali dipendono dal paragone fra schema normativo e fatto concreto. La descrizione del legislatore (la ‘fattispecie’) si protende verso il futuro, si sforza di pre-vedere e ingabbiare ciò che può avvenire. Il giudice – sussumendo il fatto concreto, qui ed ora compiuto da Tizio e Caio, entro la figura antecipatoria – riconduce il presente alla previsione legislativa. La norma volge verso il futuro; il giudizio sussuntivo muove dal presente verso il passato. Questo incontro nel tempo determina la qualifica del fatto e il suo trattamento giuridico. 2. I tre momenti – decidere giudicare applicare la legge – non vanno di necessità tutti insieme, e possono disgiungersi e stare a sé. Si può decidere senza giudicare. Il decidere ‘per valori’ è non tanto un giudicare, ossia assegnare predicati a un soggetto (un predicato legislativo a un fatto accaduto), quanto un prendere posizione; non un raffronto, ma un confronto. I valori – meglio si chiarirà in talune delle pagine qui raccolte – non hanno bisogno né di fattispecie né di giudizi sussuntivi, ma tendono a immediata e concreta realizzazione. La controversia è bensì decisa, ma senza quel giudizio in cui la legge definisce la vicenda concreta e ne fa un ‘caso’ della propria applicazione. La ‘concretezza’ di vita rifiuta di ridursi a ‘caso’, vuol rimanere se stessa, tutta gettata nel presente e nell’oggi. Mentre l’applicazione della legge è ‘inanimata’, o meglio non ha altra anima che quella del testo normativo, il decidere ‘per valori’ (o per ‘clausole generali’ o per altri criteri di ‘giustizia materiale’) s’immerge nella concreta situazione di vita, entra nel merito delle scelte negoziali, e le integra o modifica o corregge. Esso è del tutto incalcolabile e imprevedibile. La sua essenza sta proprio nell’adesione, piena e integrale, alle circostanze concrete, al gioco presente degli interessi, alle volontà esplicite o implicite delle parti. Il concetto di fattispecie, il ‘se A’ del giudizio normativo (se A, allora B), che sembrava indispensabile alla rappresentazione razionale del diritto, diviene uno vecchio e polveroso strumento da riporre in soffitta. Il valore si mette dinanzi al fatto, alla situazione di vita, che lancia un appello e attende risposta. 3. Insopprimibile è soltanto il momento del decidere. Il delitto di ‘déni de justice’ (art. 4 titre préliminaire Code Civil) è delitto di negata decisione. La decisione tronca la controversia; stabilisce ragione o torto, colpevolezza o innocenza; archivia il caso, e consente di andare al di là. Qualsiasi società – d
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