"Quando ero ragazzo c'erano due scuole di pensiero riguardo alle letture obbligatorie: quelli che i libri li leggevano per intero (
) e quelli che invece scorrevano velocemente la quarta di copertina per avere un rapido riassunto della trama e provavano a fare un tema basandosi su quello (
) Il mio profilo genomico ottenuto dal sito web "23andMe"è oggi più simile a una quarta di copertina perché si fonda su una lettura parziale del Dna che compone il mio profilo genomico. Per chi dispone di risorse economiche, però, il mercato della genomica ad personam mette a disposizione la possibilità di leggere l'intera sequenza di Dna lettera per lettera, decifrando la ricetta completa dei sei miliardi di A; G; C; e T che compongono il mio genoma distribuito in 23 cromosomi in ciascuna delle mie cellule. Una sequenza completa del Dna è un romanzo completo letto per intero, dove possiamo apprezzare le sottili sfumature, la variazione di registro che rendono un genoma diverso da un altro". È una citazione tratta dall'ultima parte (Futuri prossimi) del libro di Sergio Pistoi, finalmente un'opera scritta da un autore italiano capace di unire alla chiarezza espositiva il rigore della documentazione e l'attualità dell'aggiornamento. Per offrire un'ulteriore idea del "romanzo completo" costituito dal nostro Dna, aggiungerò che la sua lettura equivale a quella di 7024 Divine Commedie, ovviamente diverse l'una dall'altra. E continuando con alcune informazioni presenti anche nel libro, potrebbe essere utile ricordare che: tra gli individui della nostra specie (Homo Sapiens o anatomicamente moderno) il Dna differisce in media del 2 per mille (una ogni 500 delle lettere di cui sopra) mentre gli individui della nostra specie differiscono dagli scimpanzé nel loro Dna dell'1-2 per cento (una ogni 25-50); il numero di geni umani è circa 25.000; la maggior parte dei nostri geni (circa il 98 per cento) non ha una funzione conosciuta; se si svolgesse il Dna contenuto in una nelle nostre cellule osserveremmo una sequenza lunga circa un metro e mezzo; nel corpo umano sono presenti circa 100 mila miliardi di cellule (100.000.000.000.000); se potessimo svolgere in un filo il Dna contenuto in tutto il nostro corpo, questo filo sarebbe lungo quanto 600 volte il percorso tra la Terra e il Sole e ritorno. Il Dna incontra Facebook si compone di sei parti suddivise in ventun capitoli dai titoli accattivanti (per esempio: Geni in offerta; Il solito ignoto; Carambate cromosomiche; Il genoma pervasivo; Rivoluzionari in pantofole; L'amico alieno
). Pistoi sperimenta su se stesso i servizi che sul web il sito 23andMe (ma ve ne sono altri) offre a chi è interessato alla conoscenza del suo genoma: ovvero alla conoscenza, per il momento, di una frazione di quelle lettere di cui si diceva prima, la cui variazione da una persona all'altra costituisce la trama della nostra diversità biologica, ma anche la possibile fonte di manifestazioni patologiche. Non è rilevante che la "sperimentazione" sia stata in parte reale in parte simulata, perché le implicazioni che ne derivano e i problemi che pongono sotto il profilo sociale ed etico meritano la massima attenzione. Sulla peculiarità dei problemi sociali ed etici dei test genetici vi è ormai una vasta letteratura (fatta anche di raccomandazioni e direttive comunitarie, convenzioni internazionali, ecc.): basta seguirne le tracce nel testo e nelle note del libro e, quand'anche conducano a crocevia dai quali è difficile uscire, non viene in mente nulla di rilevante da aggiungere. L'aspetto più interessante e più nuovo è quello che dà il titolo al libro, e cioè l'"incontro" della genomica con Facebooko, per dirla in modo meno mediatico, la nascita e lo sviluppo di un "social network genomico" che va oltre le funzioni sociali di un "social network" e le funzioni conoscitive dell'analisi del genoma di una o più persone. Da che cosa trae origine? Tale domanda va forse preceduta da un'altra, più difficile: in quale misura i concetti di identità biologica e identità culturale sono contigui? L'identità biologica va intesa strictu sensu, senza cioè ambigui riferimenti a nozioni molto lontane dalla biologia: mi riferisco al fatto che tutti i vertebrati sono sottoposti a processi di identità biologica ben definiti, che risiedono sostanzialmente in quel sistema essenziale per la nostra difesa biologica dall'altro, che è il sistema immunitario. Se un qualsiasi oggetto estraneo viene a contatto con il nostro organismo, l'organismo si difende; si difende qualunque esso sia purché non sia una parte di sé: l'organismo ha cioè la capacità di discriminare il sé dal non sé, quindi di definire l'identità biologica. Occorre però essere coscienti del fatto che l'identità biologica, così come quella culturale, costituisce in realtà il risultato di un processo evolutivo. Inoltre le due identità hanno un nesso comune, quello di essere sottoposte a un "processo adattativo", cioè alla necessità, attraversando la biologia (ma oggi più ancora attraversando la cultura) di adattarci: di qui lo stimolo a conoscere e a capire meglio le discriminazioni ambientali e culturali che ci condizionano. Ciò premesso, gli odierni processi tecnologici che ci permettono di analizzare rapidamente il profilo genomico di una persona, ci permettono anche di scoprire le relazioni biologiche di questa persona non solo con tutti i suoi antenati, ma anche con coloro che le sono vicine. Si parla sempre di ascendenza e discendenza, ma in realtà oggi, più che i nostri antenati, dovrebbero interessarci i nostri simili: i fratelli, i cugini, le persone che sono davanti a noi, tutte a noi correlate da qualche relazione genetica anche se lontana nel tempo. Naturalmente questa precisione nell'identificazione biologica del sé, ma anche dell'altro ‒ perché qui sta il nocciolo del problema ‒ diventa talmente sottile da porre problemi etici non indifferenti, quelli che costituiscono il tema più avanzato del libro. La raffinatezza e il fascino di questa avventura risiedono per esempio nell'intravedere lo studio integrato di quelle che possono essere le nostre emozioni sotto il profilo della variabilità genomica, e perciò lo studio del campo più intimo della nostra identità al tempo stesso biologica e culturale. Dunque, l'identità culturale evolve così come evolve l'identità biologica, ma è un po' come l'araba fenice: esiste ma non sappiamo bene dove sia. Per entrare nello specifico del tema del social networkgenomico, ritengo vi sia una certa ambiguità: quella di contrabbandare per una ricerca di identità biologica quella che in realtà è una ricerca di identità culturale. Ci siamo mai chiesti perché sia così frequente il desiderio di andare indietro nel tempo alla ricerca delle nostre origini? Una manifestazione attuale di questa richiesta è quello che il nostro autore definisce "social networking genomico", che "sottintende un rapporto nuovo e molto più pervasivo fra l'individuo, la scienza e la tecnologia rispetto a quello che oggi caratterizza i social network tradizionali quali Facebook. Mentre in questi ultimi la tecnologia è solo il mezzo con cui far pervenire in tempo reale un messaggio creato dagli utenti, nella genomica di massa è la tecnologia stessa a creare un contenuto, fornendoci la scansione del nostro Dna e lasciando quindi agli scienziati il compito di incidere, almeno in parte, sulla nostra socialità", per di più coltivando in noi anche la sensazione di una socialità condivisa da Dna comune e perciò più intima. Si tratta, a mio parere, di una richiesta forte di identità culturale, non biologica. Perché è la ricerca di un'identità che ci permetta di vedere nel nostro simile in qualche modo un fratello, qualcuno che non è diverso da noi perché quella frazione di Dna comune ci fa più solidali. Forse l'idea di cercare sul web il percorso che va da noi alla ricerca dei nostri antenati e dai nostri antenati ricade sul potenziale iscritto al social network genomico che intende mettersi in contatto con noi, nasce anche all'esigenza di dare un senso alla nostra variabilità: oggi viviamo in un mondo in rapidissima trasformazione, con molte persone di origini etniche diverse, che in qualche modo contribuiscono al pulsare biologico (ma soprattutto culturale) di ciò che siamo. Tutto ciò induce cambiamenti profondi nella nostra cultura. Ricordo l'aria famosa di Lohengrin nell'opera omonima di Wagner: "Mai devi domandarmi / né a palesar tentarmi / ond'io ne venni a te / né il nome mio qual è" e le tragiche conseguenze causate dall'aver invece posto la domanda. Forse anche Pistoi avrebbe ritenuto più sicuro non fare domande se, pur condividendo una piccola frazione di Dna con il Signor J. P. che l'aveva contattato per conoscere meglio il profilo genomico di entrambi e invitarlo a scambiarselo sul sito, ha poi deciso di declinare l'invito e troncare ogni contatto ulteriore. Alberto Piazza
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