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Fino a metà libro avevo liquidato il racconto come un fastidioso romanzo balneare, poi quando le vicende si sono spostate più incisivamente sui cosacchi, la mia attenzione è cambiata per il manifestarsi di situazioni a me totalemnete sconosciute, tant'è che la curiosità mi ha indotto a fare delle ricerche approfondite ed a nutrirmi così di nuove conoscenze. Quante cose i vincitori di tutte le guerre nascondono all'opinione pubblica? Ho avuto l'ennesima conferma che in guerra non ci sono buoni e cattivi ma solo e soltanto cattivi e quelli che vincono e scrivono la storia sono più cattivi degli altri.
il nobile tentativo di verità storica, seppur romanzato, è stato vanificato da quanto interpretato dai due protagonisti (Guido ed Erminia, a discapito di un Pjotr che avrebbe meritato ben altro interesse). Il libro, per me, è molto lontano dalla capacità che Quilici ha mostrato in alcuni dei suoi ottimi romanzi. iNarrativamente, il testo non esprime la commozione che dovrebbe e anche lo spirito di avventura. Solo Helga riesce a farlo. Già in Libeccio avevo notato la mancanza di quegli ingredienti così straordinariamente descritti, per esempio, in Cielo verde, Cacciatori di navi o I serpenti di Melqart.
Come sempre Folco Quilici riesce, con parole semplici, a fotografare luoghi e tempi oramai perduti. Con questo romanzo ci fa riscoprire la drammatica vicenda delle truppe cosacche che durante il secondo conflitto mondiale combatterono in Italia al fianco dei nazisti ma che, a differenza di quest'ultimi, non riuscirono a salvarsi dopo la Liberazione. Il racconto si districa tra sentimenti e fatti drammatici (che lo stesso autore ha vissuto) e lascia il desiderio di informarsi ulteriormente su una vicenda ancora troppo trascurata dai libri di storia.
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