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La guerra civile del Libano è il periodo in cui Villeneuve inscena la ricerca di un figlio da parte di Nawal, sua madre (interpretata da Luzan Azabal). La scena iniziale ci introduce al tema della rabbia dell'innocenza tradita, di un bimbo costretto a non essere più tale e a diventare un soldato. La ricerca di Nawal avrà, inaspettatamente successo, ma non starà a lei rivelarci l'identità del figlio ritrovato: alla sua morte infatti, lascia due piste da seguire ai suoi altri due figli, cresciuti in Canada dopo la fuga dal Libano. Saranno loro a scoprire, insieme allo spettatore, una verità terribile e bella, perché resa tale dallo spirito di sacrificio della loro madre. Il film è concentrato sulla dispersione di una famiglia a causa di una guerra; in realtà potrebbe essere una fra le tante guerre che ancora oggi si combattono nel mondo, quindi non vi aspettate una ricostruzione focalizzata sugli specifici eventi del Libano. Villeneuve crea un meccanismo ordinato per arrivare ad una soluzione che ci racconta di quanto grandi e indescrivibili possano essere le responsabilità di una guerra nel far deragliare i percorsi di famiglie e individui. Il bambino della scena iniziale poteva essere sorridente e non adirato, in compagnia della madre e non di soldati, se solo la guerra non avesse distorto il suo mondo. Ma il liberatorio pianto finale del figlio ritrovato dice anche altro: il vuoto dell'odio è nulla di fronte all'amore e al perdono.
Film sontuoso. Villeneuve, sullo sfondo del dramma del Medioriente, con un incedere implacabile, prima sgrana storie di inquietudini morte e abbandono, poi ne ricompone il pezzi secondo logiche narrative ineccepibili ed incalzanti. Fino ad uno dei finali più terrificanti e nello stesso tempo intensi mai visti.
E' una storia che fa provare sofferenza mentre la si vede svolgere. Si intuisce che pur essendo la trama ispirata alla vita reale di Soura Bechara, diversi altri tragici episodi di contorno possono (debbono) essere accaduti (probabilmente più volte) e ciò fa rabbrividire.Qualsiasi ben architettata sceneggiatura splatter non vale l'arida, brutale verosimiglianza dell'odio etnico dell' essere umano contro l'essere umano. Pensavo che Hotel Rwanda avesse già raggiunto, come rappresentazione scenica, il limite a cui può arrivare la nostra specie, ma mi sbagliavo. Forse in Libano il numero dei morti é minore della tragedia africana, ma che orrore !
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