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I Due amici - Alberto Moravia - copertina
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Descrizione


L'amicizia fra Maurizio, cinico e dongiovanni, e Sergio, antifascista incapace di agire e pieno di rancore inespresso nei confronti dell'amico più fortunato, raccontata in tre momenti diversi, da tre voci diverse. Dal litigio a causa di una vedova, Emilia, che entrambi amano e che spinge Sergio a rompere i rapporti con Maurizio, agli scontri per la diversa posizione sociale, che ispira a Sergio, comunista, continue rivendicazioni di classe, ai compromessi, i tradimenti le sfide nel contendersi Nella, una ragazza di umili origini, arrivata a Roma per trovare lavoro e amata prima da Sergio poi da Maurizio.
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Dettagli

2007
17 ottobre 2007
LXXIII-414 p., Brossura
9788845259647

Voce della critica

"Quest'Italia fascista sarebbe caduta facendo sventolare a sfida scioccamente le sue bandiere nere ornate di puerili teschi d'oro, sotto un cielo sereno e gioioso d'estate, forse con poco pane e cattivo ma senz'altro morbo infuriante che quello dello scetticismo e della retorica". Siamo nel 1943 e con questa sintesi di immagini e di simboli stridenti Alberto Moravia – nell'inedito I due amici (con il sottotitolo Frammenti di una storia fra guerra e dopoguerra), ora pubblicato da Bompiani ed egregiamente introdotto curato da Simone Casini – descrive l'incandescente cesura tra la fine del regime fascista, con gli ultimi, ferocissimi atti di guerra, e l'adesione al comunismo come "principio speranza" per molti intellettuali.
Le pagine manoscritte, interrotte e mai riprese (trovate nel 1996 nella cantina dello scrittore, nella sua casa di Lungotevere della Vittoria e conservate presso l'archivio del Fondo Alberto Moravia) risalgono al 1952, e cioè al periodo tra Il conformista e Il disprezzo. Più che un romanzo vero e proprio, ne è derivata una sorta di palinsesto: tre redazioni differenti di una medesima storia le cui costanti vengono rielaborate da una stesura all'altra attraverso mutamenti di prospettiva e di focalizzazione, con alcune trasformazioni significative nell'intreccio e nei punti di vista sui e dei personaggi. Si racconta di Sergio, "intellettuale" e "comunista", e di Maurizio, "borghese" ricco e viziato ma carismatico, e molto restio a farsi "convertire" alla fede politica dall'amico. Etichette, queste, che si rivelano in realtà del tutto inadeguate, quindi necessariamente smentite e ridefinite all'interno di ciascuno scritto. Allo stesso modo, tra fede e scetticismo, la tensione politica non costituisce un discorso astratto, ma si incarna nel carattere dei personaggi, nel loro continuo confronto che si esprime tra attrazione e insofferenza, fascinazione e invidia, noia e passi falsi, fino ad alimentare un implicito "duello" e a concludersi con un imprevedibile, forse addirittura un po' brusco, colpo di scena che ricorda le tinte fosche della Ligeia di Edgar Allan Poe.
Mi riferisco soprattutto alla seconda redazione del testo. Mentre la prima e la terza sono più abbozzate, quest'ultima costituisce una sorta di piccolo romanzo che si conclude con la lettura di tutta la vicenda come un patto con il diavolo. Tra i due amici si inserisce il personaggio di Lalla, la compagna di Sergio (che nelle altre due versioni si chiama Nella: appena introdotta nella prima, più remissiva e animalesca nella terza). La ragazza – paragonata a "quei rettili eleganti e goffi delle epoche antidiluviane" ma, insieme, "profondamente attraente" – diventa oggetto del contendere tra i due amici, perché Maurizio promette che si convertirà al comunismo soltanto se Sergio gli concederà di andare a letto con lei. Il patto diabolico "messo in scena" da Maurizio, una trappola in cui l'"intellettuale" Sergio cade per troppa sicurezza, ha una funzione paradossalmente benefica: smascherare come un ideale politico non possa fare dell'individuo soltanto un mezzo per il raggiungimento del suo fine. La donna diventa per provocazione il simbolo di questo rovesciamento di valori: la mortificazione dell'amore e del corpo consacrati all'ideale e ridotti a merce di scambio e, al tempo stesso, la persuasione politica come mera conquista di voti, di anime vendute al demonio più che di autentiche e ponderate scelte. All'utopia si affianca così contemporaneamente l'antiutopia, con la ribellione della donna che si impone con intelligenza e in tutta la sua fiorente carnalità e si sottrae, alla fine, ai disumanizzanti esperimenti di entrambi. L'adesione al comunismo rimane una forte spinta all'azione, all'impegno, in quanto coincide con la fede nello svecchiamento e nel miglioramento del mondo, "speranza sincera e quasi mistica in un rinnovamento profondo dell'umanità". Ma la letteratura non può che sviscerare, per reazione, una serie infinita di dubbi, di obiezioni e di domande che escludono ogni acritica adesione a un dogma.
L'inedito di Moravia, che nel 1984 era stato eletto deputato europeo per le liste indipendenti del Pci, torna così prezioso nell'anno del centenario della nascita dello scrittore (forse non adeguatamente festeggiato, in Italia, nell'ambito accademico). Una sorpresa per il piacere di ritrovare una scrittura libera da doveri di accondiscendenza, schiettamente tagliente e originale nelle immagini, nei discorsi, nella demistificazione di facili imbonimenti, refrattaria a ogni approdo troppo stabile del pensiero, a qualsiasi rigida utopia rivolta a fare dell'individuo lo strumento di un'idea privandolo di vigore, di carnalità, di una stessa pur vitale insofferenza; ma anche per la riflessione politica che ne emerge, a volte un po' troppo esplicita e forse non sempre perfettamente amalgamata come in altri romanzi (di qui, si può ipotizzare, uno dei motivi dell'abbandono del testo), ma oggi quanto mai importante nel ravvivare un dibattito scontato e stantio, e nel fare ancora luce sui rapporti tra ideologie e individui. Chiara Lombardi  

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Conosci l'autore

Alberto Moravia

1907, Roma

Alberto Moravia esordì giovanissimo pubblicando, a sue spese, il primo romanzo, Gli indifferenti (1929). Penetrante e spietato ritratto della borghesia italiana agli inizi del fascismo, l’opera rivelò immediatamente, nella incisività di una prosa secca e analitica, la maturità di uno scrittore capace fin da allora di far tesoro delle diverse lezioni dei grandi modelli europei, dalla oggettività di De Foe alla problematicità dei romanzieri russi (specie Dostoevskij), al realismo tipologico dei francesi dell’Ottocento. Il romanzo, accolto con ostilità dalla cultura fascista che ne proibì la diffusione, fu salutato con entusiasmo solo da pochi critici accorti (Borgese, Pancrazi, Solmi).M. cominciò poi a collaborare a riviste...

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