Nel romanzo Le due verità Rigamonti esplora il doloroso universo della colpa: Oreste Mezzadri, il protagonista, è un uomo onesto, moralmente irreprensibile, che a un certo punto della sua esistenza si trova spinto irrefrenabilmente a compiere un delitto. Eppure la sua natura di uomo per bene non cambia. Rigamonti esamina minuziosamente, passo dopo passo, l’emergere di una natura profonda, oscura che si contrappone alla natura diurna, placida e onesta di Mezzadri. Benché sia roso dal rimorso, da un senso di colpa che finirà per distruggerlo, Mezzadri non trova la forza per confessare il proprio delitto, anzi si difende strenuamente per un vile istinto di sopravvivenza che è più forte di lui. Ma non siamo di fronte a un epigono di Stevenson, né tanto meno Mezzadri è un terribile Mister Hyde… Il protagonista qui è un uomo qualunque, che uccide spinto da una necessità assoluta e che, nel momento stesso in cui uccide un altro, uccide una parte di se stesso. Mezzadri ha ucciso, eppure non è un assassino. La voce narrante è affidata alle caute parole del commissario che, in un’atmosfera da mille e una notte, racconta la vicenda del delitto e dell’indagine a un gruppo di amici. E proprio come nelle Mille e una Notte, ogni storia ne contiene un’altra, in una serie di cerchi concentrici che ci presentano mano a mano tutti i personaggi, mentre la narrazione si fa a ogni cerchio sempre più serrata. Le narrazioni si sovrappongono e i personaggi prendono voce uno a uno in una giostra di caratteri e sentimenti, dove verità e falsità si confondono, giusto e ingiusto vedono i loro contorni sfumare uno nell’altro. Ed è proprio il protagonista che a un certo punto dice «Ci sono due verità. Una è quella che tutti possono vedere […] L’altra la vedo solo io, riguarda il modo in cui ho vissuto questa cosa, e anche se è solo mia è chiara quanto la prima. Ed è che la mia essenza, la mia vera natura, quella che non cambia mai finché uno vive, è essenza di persona che non uccide; e adesso, uno alla cui essenza appartiene il non uccidere ha ucciso. Ho distrutto le basi del mio essere. […] E come può continuare a esistere, uno che il suo essere non ce l’ha più?». È questo il nocciolo della questione, nocciolo metafisico per eccellenza: Rigamonti mette in scena una delle questioni più pesanti della filosofia, la questione dell’essenza. Il protagonista uccide perché cede a un desiderio di distruzione che gli viene dal profondo, da una natura sconosciuta sulla quale non riesce a esercitare alcun controllo. Il romanzo è pieno di spunti filosofici, dalla questione dell’essenza a quella della verità, dal libero arbitrio alla giustizia, ma anche alle ipotesi sulla natura del cosmo. Si sente che l’autore è filosofo di professione e che riesce a portar dentro la narrazione alcuni elementi teorici, speculativi, con cui si ritrovano a fare i conti i suoi personaggi. E in fondo il commissario Fontanieri un po’ filosofo lo è, quando alla fine di una notte complicata afferma che «la verità esiste. è difficile, nascosta, si manifesta con difficoltà, ma esiste; e benché avaramente, si rivela». Ma se si è rivelata forse al commissario, ha schiacciato l’esistenza di Oreste Mezzadri, che non ha saputo resistere al suo peso e al pesante fardello della colpa.
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Le due verità
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Spinto da una necessità incontrollabile Oreste Mezzadri finisce per commettere un omicidio. E' una persona per bene, con tutte le sue forze vorrebbe cancellare quanto è accaduto e tornare a vivere come prima. Ma l'azione commessa pesa come un macigno, e l'incapacità di confessare accresce il tormento interiore. È la tragica storia di un uomo onesto che si trova a uccidere e, da quel momento, esplora tutte le sfumature della colpa. Solo nell'ultimo giorno di vita...
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Autore:
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Editore:
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Collana:
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Anno edizione:2010
In commercio dal:
1 gennaio 2010
Pagine:
256 p., Brossura
EAN:
9788887778519
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BRUNA DESTI 03 dicembre 2011