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Ho acquistato il libro per spirito d'emulazione, replicando il gesto di un'anziana signora che mi ha preceduto nell'afferrare convinta il volume ,prelevandolo da una pila in bell'ordine ed evidenza al centro di una confusa libreria di provincia. Nessuna voglia di sentimentalismo quindi da parte mia:solo la casualita' mi ha fatto ritrovare tra le mani il libro di Gramellini, da me consumato in una manciata di ore alla luce del comodino. Non conoscendo nulla dello scrittore, solo verso la seconda parte del libro mi sono convinto che se comunque di un romanzo si trattava, realmente il protagonista era davvero l'autore, l'occhialuto Massimo in retro di copertina. Gramellini ha deciso di convertire su carta le proprie angosce,la propria vicenda personale in circa 200 pagine scritte con uno stile di facile comprensione, mai barocco (ma neppure banale), alimentate da riflessioni profonde e da citazioni autorevoli. Pagine nelle quali spadroneggia la parte descrittiva, e dove solo in un ultimo colloquio tra Massimo ed Elisa viene concesso spazio ad un dialogo completo. Sproporzione che non toglie pero' armonia alla trama, drammaticamente reale. Di gusto discutibile e'l'inserimento nel libro, del ritaglio de LA STAMPA che riporta la notizia del suicidio della madre. Il giornale lo fece con la brutalita' voluta e noncurante che solo le pagine di cronaca cittadina sanno regalarci.Il libro e' uno sfogo di Gramellini, un 'ansia fisiologica di comunicare al mondo la propria sofferenza,di condividerla in maniera talmente universale quale forma di compensazione rispetto al silenzio pluriennale in cui la terribile verita' del suicidio gli venne nascosta. Un'esplosione di emozioni sparate a pioggia sul lettore, capaci di generare compassione, malinconia, empatia. Massimo,a quasi 50 anni ,acquista la consapevolezza che il suicidio materno sia un atto doloroso ma che esso non abbia piu' alcun diritto di consumare l'anima di coloro che sopravvivono alla persona scomparsa .
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