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La figlia - Clara Usón - copertina
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figlia

Descrizione


Ana è una ragazza estroversa, allegra, brillante. È la migliore alunna del corso di medicina a Belgrado, è amata dagli amici, è l'orgoglio di suo padre, il generale Ratko Mladic, che lei ricambia con una devozione assoluta. Un viaggio a Mosca è l'occasione per passare alcuni giorni in giro per una grande città con il solo pensiero di divertirsi. Invece al ritorno Ana è cambiata. È triste e taciturna. Una notte afferra una pistola, quella a cui il padre tiene di più, e prende una decisione definitiva. Ha solo ventitré anni. Cosa è successo a Mosca, tra corteggiamenti e feste, in compagnia degli amici più cari? Nelle allusioni e nelle accuse dirette Ana ha intravisto nel padre una figura spaventosa. Quello che per lei è un eroe e un genitore premuroso, per tutti gli altri è un criminale responsabile dei maggiori eccidi del dopoguerra: l'assedio di Sarajevo, la pulizia etnica in Bosnia, il massacro di Srebrenica. Crimini che lo porteranno a essere accusato di genocidio, in un processo che dopo una lunga latitanza ha avuto inizio nel maggio 2012. Pochi casi come quello di Ana rivelano in tutta la sua oscura profondità una condizione, la perdita dell'innocenza, al tempo stesso individuale e collettiva.
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Dettagli

2013
4 aprile 2013
488 p., Brossura
9788838929120

Valutazioni e recensioni

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Sara
Recensioni: 5/5

Romanzo ben scritto che offre un punto di vista interno e diverso dal solito sulla tragica guerra dei Balcani. L'alternanza dei capitoli romanzati con quelli di descrizione storico-giornalistica dei personaggi politici coinvolti consente anche ai meno informati sulla vicenda storica di comprendere a pieno. Molti gli spunti di riflessione sulla situazione socio-politoca. Godibile, accattivante, mai noioso.

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Federico
Recensioni: 5/5

Bellissimo libro che vede attraverso un altro punto di vista il conflitto balcanico. Molto bello molto ben costruito. È il primo libro di Clara uson che leggo ma ne leggeró altri

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Emanuele
Recensioni: 4/5

Fatico un po’ a esprimere un giudizio su questo romanzo. Innanzitutto perché è un romanzo solo in parte, visto che alterna fiction (la storia romanzata degli ultimi mesi di Ana Mladic, figlia di Ratko Mladic, il cosiddetto “macellaio della Bosnia) e Storia (attraverso la descrizione di alcuni personaggi della recente e meno recente storia della Serbia, da Slobodan Milosevic a Radovan Karadzic). Dico subito che il libro mi è piaciuto molto, più che per la qualità della scrittura, perché racconta di un momento storico che sento particolarmente. Avevo poco meno di venti anni quando è scoppiata la guerra tra Serbia e Croazia. E quindi poco più di vent’anni quando è scoppiata la guerra in Bosnia. Una guerra vicina. I campi profughi croati erano a pochi chilometri dal confine. Paradossalmente, la parte romanzata, quella che racconta di Ana e del suo rapporto con il padre, è quella che ho trovato meno riuscita. Viceversa, ho trovato molto interessante la parte storica: i ritratti dei diversi personaggi, protagonisti (in negativo) di quegli anni sono secondo me estremamente efficaci. L’efficacia è data dal fatto che l’autrice ha saputo coniugare un linguaggio giornalistico con un linguaggio leggermente derisorio, senza scadere nel macchiettismo. Ancor più mi sono piaciuti i capitoli dedicati ad un personaggio secondario (che secondario non è assolutamente, anzi che ha spazio e sostanza tanto quanto Ana): si tratta di Danilo, nato a Sarajevo, figlio di un padre ebreo e di una madre serba, apolide per definizione, vocazione e costrizione. Nel raccontare la sua storia mi sembra che la Uson abbia raggiunto una scrittura molto riuscita.

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Voce della critica

  Clara Usón sceglie la storia di Ana Mladic, figlia del generale Ratko, come lente d'ingrandimento per raccontare la guerra in Bosnia Erzegovina, il capitolo più doloroso delle guerre balcaniche che iniziarono con la farsa della guerra in Slovenia nel 1991 e terminarono con l'intervento Nato in Kosovo nel 1999. La vera protagonista della storia, però, è la guerra stessa: una guerra mai vissuta in prima persona ma raccontata nel libro attraverso due binari paralleli: da un lato la storia dei diversi "eroi" cari al nazionalismo serbo, dal re Lazar, capostipite immaginario della mitologica "grande Serbia", alla storia del generale Mladic stesso; dall'altro la storia di Ana e della sua vita da studentessa universitaria fino ai fatti che la porteranno a scoprire la verità sull'operato del padre. È così che la guerra ne esce anestetizzata, raccontata soltanto attraverso i piccoli fatti quotidiani dei compagni di Ana, una borghesia cittadina che vive il conflitto da Belgrado, infastidita quasi più dai piccoli disagi quotidiani che dai massacri che avvengono a pochi chilometri di distanza. Una borghesia che vuole prendere le distanze da una guerra che non riconosce come sua, ma che giudica un affare per figli di contadini e nuovi ricchi pronti a utilizzarla come scorciatoia per la loro arrampicata sociale. Ana è estranea a queste dinamiche, una parvenu, prima della famiglia ad andare all'università è catapultata nella capitale quando il padre viene trasferito da Skopje a Belgrado. Ed è proprio la storia di Ana a rimanere schiacciata dalla struttura del libro che le toglie quella centralità che il titolo lasciava immaginare. Il suicidio della figlia prediletta dall'artefice del genocidio di Srebrenica non risulta quindi l'evento centrale, ma piuttosto uno dei tanti orrori di una lista che l'autrice ha cura di elencare con didascalica precisione, svuotando così la decisione di Ana della sua potenza simbolica. L'autrice sceglie infatti di continuare il racconto anche dopo la sua morte, facendo del romanzo uno strumento per dare uno sguardo di insieme al conflitto. Quest'ultimo è senza dubbio il più grande pregio dell'opera: fornire una testimonianza completa del conflitto più sanguinoso avvenuto in Europa dalla fine della seconda guerra mondiale, soffermandosi non solo sui crimini commessi ma anche sulle scelte politiche e propagandistiche che hanno spianato la strada al massacro. Il romanzo riesce molto bene a mostrare la molteplicità di opinioni e vedute all'interno della Serbia stessa, evitando la semplificazione "serbi = nazionalisti sanguinari" che molte delle letture occidentali hanno offerto, descrivendo quello serbo come un blocco unico e monolitico. In questo senso il libro, come già intuito da Paolo Rumiz in Maschere per un massacro. Quello che non abbiamo voluto sapere della guerra in Jugoslavia (Feltrinelli, 2011), giudica implicitamente quello dello scontro etnico come un paravento dietro il quale la nomenclatura post-comunista al potere si è nascosta per creare un conflitto che la mantenesse al potere sotto le nuove vesti di leader nazionalisti. I Milosevic, i Tudjman hanno fomentato il conflitto sopito tra le braci della Jugoslavia post-titina per spingere attraverso una propaganda martellante le campagne verso l'odio nazionalista da contrapporre alle città cosmopolite e pienamente "jugoslave", come Sarajevo. E ritroviamo infatti Sarajevo come motivo ricorrente nel romanzo, luogo di incontro, ricordo di un passato felice per quelli che solo pochi anni più tardi saranno costretti a scoprirsi figli di etnie diverse e in conflitto. La figlia è un romanzo che parla di fatti a noi vicini sia in termini spaziali che temporali, fatti poco capiti e troppo presto accantonati dalla nostra opinione pubblica sicura che certe cose non ci riguardino, e possano accadere solo nei Balcani, dove la guerra si è sempre fatta e sempre si farà. La storia di Ana Mladic è la storia di un'intera generazione perduta, la prima a definirsi fieramente jugoslava, travolta da un conflitto nel quale non credeva, costretta a combattere una guerra non sua e a marcare confini, accettando divisioni etniche imposte. In questo senso La figlia non è solo un libro sulla memoria, ma un monito, un'accurata analisi dei sintomi che possono in poco far ammalare una società contemporanea come la nostra fino a trasformarla in qualcosa di estraneo ed estremamente pericoloso.   Marco Magini  

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Conosci l'autore

Clara Usón

1961, Barcellona

Clara Usón è nata nel 1961 a Barcellona. Autrice di sei romanzi, all’esordio nel 1998 ha vinto il Premio Lumen e nel 2009 il Premio Biblioteca Breve Seix Barral con Corazón de napalm. È stata riconosciuta dalla critica spagnola come una delle maggiori scrittrici contemporanee, dotata di una grande creatività e di un’originale sensibilità espressiva, che fanno di lei una «degna erede di Cechov» (El Mundo).

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