Una piovosa sera di novembre Frans Laarmans, ironico alterego dell’autore alla sua ultima apparizione letteraria, trova, nel porto di Anversa, tre marinai afgani alla ricerca di una ragazza conosciuta quel giorno a bordo della loro nave. Piove e fa freddo, ma l’esotico incontro fa scattare in Laarmans il represso desiderio di trasgressione e di fuga dalla monotonia di una vita regolata da norme accettate a malincuore, di un conformismo che gli va stretto, ma al quale pigramente si adatta, preferendo, all’aperta ribellione, uno sveviano ricorso all’ironia e allo sdoppiamento. Accetta di accompagnarli mosso dall’inconfessata speranza di un’avventura galante, ma in fondo è soprattutto l’avventura tout court che l’attrae, l’occasione di una serata in compagnia di gente finalmente diversa da quella con cui è costretto a passare tutti i suoi giorni, lontano dalle pantofole e dal focolare di casa, dove “se non legge il suo silenzio raggela i familiari”. E il banale vagabondare notturno alla caccia di una ragazza del porto che ha lasciato l’indirizzo sbagliato assume ai suoi occhi i toni epici di un vano inseguimento dell’eterno femminino e subisce la metamorfosi in un religioso pellegrinaggio di Magi sulle tracce di una misteriosa Maria, guidati non dalla luce della cometa, ma dalla fuggevole illusorietà di un fuoco fatuo. Ma le parole hanno un loro potere e l’errabondo cammino “con uno scopo impuro e uno stomaco vuoto”, trasformato nelle tappe di una “via Crucis”, porta comunque alla rivelazione della tolleranza e alla scoperta dell’amicizia e della fratellanza con gente di un’altra razza e di un altro colore. Quanto al resto, forse è meglio così, meglio tenersi le proprie illusioni, perché “i sogni che si realizzano scorrono via come acqua tra le dita”.
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