Roberto Iannuzzi individua, con piena padronanza della storia e delle relazioni internazionali nella regione, le cause lontane e recenti degli attuali sconvolgimenti nel mondo arabo, declinando, sotto il comun denominatore della crisi economica globale, le diversità regionali marcate dal colonialismo, i differenti profili culturali e geopolitici delle società arabe e iraniana, il ruolo delle nuove generazioni. Il libro evidenzia il rapporto che esiste fra la crisi economica scoppiata negli Sati Uniti e in Europa, e le sollevazioni popolari che hanno travolto il mondo arabo. Mettendo in luce come il tracollo dei paesi industrializzati abbia avuto un immediato contraccolpo sui paesi della riva sud del Mediterraneo, nella misura in cui l’economia di tali paesi era incentrata essenzialmente su un modello importato dall’Occidente e su un rapporto di dipendenza nei confronti di quest’ultimo.
Iannuzzi si sofferma con profondità di analisi storico-diplomatica e ricchezza di riferimenti, sulle strategie dei protagonisti: grandi potenze o attori regionali che siano; prospetta le proiezioni possibili in vista di una futura governance dell’area, non meno problematica dell’attuale. Risultato di dieci anni di ricerca, l’opera si giova della preziosa consuetudine dell’autore con una amplissima bibliografia internazionale, in buona parte in lingua araba, oltreché di innumerevoli esperienze e contatti condotti direttamente sul campo. Dietro gli scenari in ebollizione, Iannuzzi delinea il quadro di una governance frantumata, alla ricerca di una ricomposizione attraverso nuovi equilibri di potenza, rivisitando le strategie aggiornate dei singoli stati coinvolti. Cominciando naturalmente da quella di Obama verso la regione medio orientale: un approccio ispirato da una asserita autosufficienza energetica e dalla minore centralità delle politiche di approvvigionamento, dalla preoccupazione di ordine economico per gli esosi budget della difesa, dalla crescente resistenza dei cittadini americani a versare il sangue dei figli in guerre lontane. Questi fattori promuovono alla Casa Bianca una tendenza all’arretramento da aree d’impegno consuete, facendo preferire sempre più la mediazione diplomatica o anche la sanzione economica allo scontro militare. Si tratta di un approccio che appare ai più, forse troppo facilmente, solo come un abbandono di posizioni, disponibilità a delegare, cessione d’ influenza, quindi debolezza. Ne sono conseguenza il progressivo smantellamento di un assetto unipolare e la configurazione in fieri di un assetto multipolare. Intanto, il sistema di alleanza degli Stati Uniti si allenta: l’Arabia Saudita, il Qatar, il Kuwait, cercano ruoli autonomi, l’Egitto si ripiega su sé stesso. Israele percepisce un brivido di isolamento, con il contemporaneo rafforzamento dell’asse più avverso, quello sciita, intorno a un ruolo crescente dell’Iran, e a fronte di maggiori consensi internazionali per una Palestina rappacificata tra le due entità nazionali. L’Europa da parte sua appesantisce il quadro con la rinuncia a elaborare e disarmante afasia.
Negli scenari che si delineano è la guerra civile siriana il palcoscenico centrale di nuove politiche mondiali e regionali, il cui effetto più recente è che mentre la guerra civile non si chiude, Assad appare meno fragile che nei mesi scorsi. Dietro la resistenza di Assad, non vi sono solo le titubanze degli amici degli oppositori, gli Stati Uniti innanzi tutto. Ma anche una potente coalizione che ha come catalizzatore l’Iran, astro emergente nello scacchiere mediorientale, capace di rinsaldare l’asse sciita, di promuovere la riunificazione palestinese, di flirtare con Russia e Cina, di recuperare con gli Stati Uniti sulla vexata quaestio del programma nucleare, di raggiungere già di fatto il tanto ambito ruolo, se non lo status, di potenza regionale. In particolare, in uno scenario che vede le riluttanze degli Stati Uniti, la Cina e la Russia emergono quali poli di governance influenti, ambiziosi, e imprescindibili. Iannuzzi sottolinea bene l’impegno russo in un’area, la Siria, dalle pericolose insidie per Mosca, basti pensare alla temuta possibile infezione islamista tra le repubbliche ex sovietiche e da lì verso lo stesso Sud della Russia, con prospettive destabilizzanti per l’impero di Putin. È in presenza di questo quadro che si comprende la necessità di nuova influenza di Mosca in quella regione. Mosca è in allerta e vagheggia un disegno federativo che le possa assicurare strumenti di controllo (o imperio) su un territorio per lei esplosivo: la questione ucraina (obiettivo di controllo federativo) e la questione siriana (obiettivo di stabilizzazione antislamica) sono facce della stessa medaglia, le due diverse tattiche sono ispirate dalla stessa paura e finalizzate alla stessa strategia di controllo politico ed economico.
Quanto alla Cina, prima potenza commerciale dell’area, dalle analisi di Iannuzzi emerge la sua preferenza per la stabilità di territori e mercati, per assicurare un ambiente il più propizio possibile ai propri interscambi; ne consegue una scarsa disponibilità a favorire operazioni destabilizzanti in nome di superiori visioni ideologiche o improbabili codici di valori democratici. La riflessione di Iannuzzi accende un riflettore sul ruolo futuro della Cina anche nell’area del Medio Oriente mediterraneo, ancora più ingigantito nelle previsioni, dopo l’acquisizione da parte di Pechino, con cinque anni di anticipo, del rango di primo detentore di Pil a livello mondiale. La governance futura nell’area dovrà fare certo più direttamente i conti con questo candidato a superpotenza e con la sua aspirazione ad una funzione di protagonista nelle regioni vicine che si estendono a Sud Ovest dei suoi confini. Un filo sempre più robusto lega Russia e Cina in una regione in cui la presenza statunitense appare meno determinante, e quel filo si allunga verso altri attori cruciali: in particolare l’Iran. I tre paesi sembrano destinati a svolgere un ruolo di particolare rilevanza nelle aree che si liberano per effetto del ripensamento militare americano.
L’analisi di Iannuzzi incrocia il ruolo delle tensioni interconfessionali tra sciiti e sunniti, nel quale trova un suo spazio il protagonismo di Al Qaeda. Nel volume viene proposto l’itinerario storico del confronto dalle origini dell’islamismo fino alle attuali contrapposte aggregazioni che vedono l’Iran riproporsi quale leader di una coalizione sciita più compatta, più decisamente orientata in funzione anti-israeliana. Il sunnismo emerge, oltre che in chiave di tradizionale rivale dello sciismo, come baluardo delle autocrazie arabe, primariamente preoccupate di allontanare lo spettro di esiziali esplosioni ribellistiche al proprio interno. L’obiettivo della prevenzione e del soffocamento di possibili “primavere” sul proprio territorio cementa le politiche di Arabia Saudita, Emirati Arabi, Kuwait, Bahrein, inducendo nel tradizionale scontro con lo shiismo, a tollerare, contraddittoriamente, da una parte, convergenze tattiche con Al Qaeda e, dall’altra, un ammorbidimento verso Israele nel conflitto con la Palestina.
Le proiezioni verso il futuro occupano l’ultimo capitolo del volume. La prognosi è allarmante: “Il tramonto dell’attuale mondo unipolare rischia di avvenire in un panorama di accresciuti contrasti internazionali e nel contesto di una grave mancanza di governance globale“. Il mondo è carente di antidoti per combattere i tanti fattori di crisi che si abbattono sul pianeta, e con più virulenza nel più ristretto ambito mediorientale. “Le drammatiche trasformazioni politiche in atto nella regione appaiono però senza precedenti e sono candidate ad avere ripercussioni globali”. La chiusura è una sollecitazione a una responsabilità globale che si mobiliti senza sottovalutare l’immensità del compito ma anche dei danni che la crisi mediorientale, in caso di fallimento, può provocare a tutta la comunità internazionale.
Mario Bova