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Il ruolo della Chiesa bresciana durante il fascismo, negli anni della seconda guerra mondiale, di fronte alle divaricanti richieste di schierarsi con la Rsi o con la Resistenza. E poi nella preparazione di una classe dirigente che assumesse la guida della città e della provincia dopo il collasso del fascismo, nella costruzione di quella vasta rete di organismi e associazioni che hanno plasmato per quasi cinquant'anni la provincia "bianca", nei tempi della guerra fredda. Maurilio Lovatti, docente di filosofia al Copernico e ricercatore storico, ha scritto pagine fondamentali su questi temi nel suo "Giacinto Tredici. Vescovo di Brescia in anni difficili" edito dalla Fondazione Civiltà Bresciana e giustamente posto nella collana Fondamenta-Fonti e studi di storia bresciana. Il volume di 454 pagine, che si avvale dell'autorevole introduzione (e imprimatur, verrebbe da aggiungere) del vescovo mons. Luciano Monari, offre un nuovo importante tassello a quella storia del Novecento bresciano che un drappello sparuto di studiosi e appassionati - purtroppo slegati fra loro - va ardimentosamente iniziando. Il lavoro di Lovatti è tanto più lodevole perché si basa su un paziente, ostinato lavoro di studio e analisi delle decine di migliaia di carte del "Fondo Tredici" che l'archivio diocesano ha messo a disposizione dello studioso. GIACINTO TREDICI (1880-1964), filosofo e sacerdote, divenne vescovo di Brescia nel 1934 e lo rimase fino alla morte.IL VESCOVO-FILOSOFO (di cui Lovatti ricostruisce anche la giornata-tipo, la vita in episcopio con le due anziane sorelle, la sobrietà alimentare, la timidezza di carattere) non manca di scelte coraggiose: nel 1950 è uno dei 6 vescovi (su 1681) che esprimono parere contrario al Papa circa la proclamazione del dogma dell'Assunta. Tredici è anche l'unico vescovo della zona a lasciare campo libero alla predicazione di don Primo Mazzolari. Su terreni meno dogmatici, Tredici avvalla la linea dell'Azione cattolica bresciana contro l'interventismo politico di Gedda. Massimo Tedeschi
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