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La prima cosa che colpisce nel film di Raimi è la scelta del cast in quanto è davvero un’anomalia trovare in pellicole di questo tipo attori di così alto livello, una soluzione fortunata che impreziosisce e valorizza la sceneggiatura ad orologeria di Thornton che proprio sui personaggi è costruita e sviluppata. The Gift infatti è un thriller parecchio distante dalle recenti produzioni di genere, l’aspetto action e anche quello degli effetti speciali (comunque presenti) passa in secondo piano di fronte alla caratterizzazione dei diversi personaggi. Raimi si prende il giusto tempo per delineare al meglio tutti i protagonisti e se frega altamente se i ritmi sono lenti e poco attuali, l’obiettivo non è quello d cercare il facile colpo ad effetto (che di fatto non c’è vista la pochezza della trama) ma quello di presentare un film compatto e solido che richiami nella memoria dello spettatore un cinema passato, sempre di genere, ma dall’impronta più classica.
Qualche analogia con "La Zona Morta" di Croneberg. Anche in questo caso il "dono" per Annie diventa una maledizione che metterà a rischio la sua vita e quella dei suoi figli e che farà sprofondare sempre di più Annie nella disperazione e nella paura. Bel film!
Anche se lo avevo già visto al cinema; anche se lo avevo guardato in Whs e successivamente (comprato) in Dvd, ieri notte non ho saputo resistere a riguardarmi questo bellissimo film. Una pellicola come The Gift rappresenta davvero un "dono" per lo sguardo di chi ama il cinema in senso tradizionale, quello che conta sulla forza di immagini semplici e storie costruite con solida e classica materia. Sam Raimi si diverte a prendere in giro il paranormale, ma lo fa con rispetto e pudore. La nozione di gioco presuppone uno scetticismo di fondo, reale o simulato. Arte di appagamento, il film trasmette la paura in forma molto stilizzata. Lo spettatore proietta i suoi fantasmi, sublima la sua paura in un gioco ben regolato; gode della propria paura. Il gioco dell'identificazione e della distanza ha qui dunque come meccanismo essenziale la paura e il riso. Esattamente come nel peggiore degli incubi sentiamo i protagonisti che si stanno incamminando su un piano inclinato su una viscida discesa verso l'abisso. La "bellezza del diavolo" già tante volte vista in azione ha un conto in sospeso anche nella sorniona, silenziosa, Brixton. Fin dalle prime immagini siamo avvertiti: sta per accadere qualcosa: l'ironico Raimi ci prepara al peggio (o al meglio, secondo il punto di vista). Il regista gioca con le convenzioni del thriller per affrontare, nel suo modo sornione e disincantato, interrogativi che vanno ben al di là di una storia "nera": lo spazio, la relazione, che corre tra gli eventi minimi della vita quotidiana e le leggi che governano l'universo; le misteriose tensioni conflittuali, il rapporto di affetti, invidie, le feroci rivalità che sembrano nascondersi in ogni comunità. Le visioni di Annie non mostrano un'articolazione drammatica dell'inespresso, ma rivelano il significato dell'inespresso, il suo motore informativo, cioè l'inconscio.
Recensioni
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Una "ghost story" nel segno del classico
Trama
A Brixton, piccola cittadina degli Stati Uniti, la giovane Annie, rimasta vedova con tre figli da mantenere, usa la sua chiaroveggenza, assieme ad una spiccata attenzione per il prossimo, per sopravvivere: legge le carte in cambio di libere donazioni. Tra i suoi clienti ci sono Valerie Barksdale, che viene percossa abitualmente dal marito e Buddy Cole, giovane meccanico con qualcosa da risolvere nel suo passato. Annie si trova al centro delle attenzioni di Donnie, il marito di Valerie, che la inizia a minacciare ritenendola colpevole di interferire nella sua vita coniugale, arrivando a spaventarne i bambini.
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