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Non amo far classifiche, ma "Al faro" (traduzione che mi piace di più) è il libro più bello che abbia mai letto. Come struttura narrativa, il libro scardina l narrazione "classica" introducendo il "flusso di coscienza", qui usato (a differenza che nell'"Ulisse" di Joyce, che la stessa Woolf poco amava) per narrare ciò che non è narrabile: la figura materna, il tempo che passa (il secondo dei 3 capitoli è uno dei più densi della letteratura inglese, e non solo: lirismo allo stato puro), il SI' materno (che apre alla possibilità di scoprire il mondo, alla speranza) contro il NO materno. Si gusta il libro ancora di più se si è letto la biografia della Woolf, che scrisse il libro come elegia (e non come romanzo) per "seppellire" metaforicamente il fantasma dei genitori defunti, fantasma che, fino ai suoi 44 anni (quando scrisse il libro), la perseguitò. Nella prima parte si descrive la famiglia Ramsay (e la madre), e l'alter ego della Woolf è Lily, la pittrice, che deve dipingere un quadro 8così come la Woolf deve scrivere un libro). Nella seconda parte il tempo passa, in un salto di dieci secoli. Nella terza parte, vedremo (non voglio anticipare nulla) se si andrà o meno al faro. Ha senso ancora la vita senza la madre? E quale senso ha l'arte? La Woolf, oltre a un romanzo autobiografico che ha come protagonista l'amore, il tempo e le belle cose eteree e impalpabili, ci dà anche una grandissima lezione su cosa significhi scrivere un'opera d'arte. Il libro, come il ricordo della madre, è uan creazione dolorosa, un parto. Ma solo attraverso il dolore si può raggiungere una consapevolezza che altrimenti ci sarebbe preclusa. Un libro che (se può apparire pesante a prima vista) regala, a ogni pagina, il suono del mare (come la stessa Woolf scrisse di voler fare) e che ci regala la narrazione di ciò in cui tutti possiamo ritrovarci.
A me non ha trasmesso emozione alcuna! Uno sproloquio senza fine, prolisso e contorto nella trama! Lettura inutile come tanti altri classici spacciati per capolavori!
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