Libro bellissimo ed avvincente. Consigliato!
La guerra privata del tenente Guillet. La resistenza italiana in Eritrea durante la seconda guerra mondiale
Questo libro è una medaglia su cui sono ritratti due volti. Il primo è quello del suo protagonista: Amedeo Guillet, ufficiale di cavalleria, comandante di un Gruppo Bande a cavallo che fece contro gli inglesi, durante la seconda guerra mondiale, una sorta di guerra di corsa fra le colline e le pianure desertiche dell'Eritrea. Dopo la resa dell'esercito italiano in Africa Orientale, Guillet continuò a combattere. Vestito come un arabo, si mise alla testa di una banda composta da guerriglieri eritrei, etiopici e arabi. Dopo mesi di guerriglia dovette nascondersi a Massaua a lavorare come acquaiolo sino al giorno in cui riusci ad attraversare il Mar Rosso per raggiungere lo Yemen neutrale. L'altro volto inciso sulla medaglia è quello del suo nemico, Vittorio Dan Segre, politologo, giornalista, professore a Haifa e a Stanford, uno dei maggiori esperti di questioni mediorientali. Nel 1938, all'età di 16 anni, emigrò in Palestina. Guillet e Segre s'incontrarono a Napoli nel 1944, combattendo ora dalla stessa parte, ma si conoscono dal giorno in cui Segre studiava nell'esercito britannico sui rapporti dell'Intelligence Service le spericolate azioni di un ufficiale piemontese. Da questa lunga amicizia è nata una biografia in cui Segre, per disegnare il ritratto di Guillet, ha utilizzato soprattutto fonti "nemiche": i rapporti e i ricordi degli ufficiali inglesi che lo combatterono in Etiopia e in Eritrea.
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Edizione:6
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Anno edizione:1993
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Enrico Caramuscio 10 febbraio 2014
Siamo nel 1941 quando l’esercito italiano, sconfitto dal nemico britannico, deve rinunciare al controllo dell’Eritrea abbandonando di fatto le sue velleità di colonialismo nel Continente Nero. La batosta sembra aver convinto tutti, governo di Roma compreso, a deporre le armi e lasciare le ex colonie. Soltanto un ufficiale, seguito dai suoi fedelissimi ascari, continua a combattere costringendo il nemico a non abbassare la guardia e impedendogli di lasciare il Corno d’Africa per unirsi agli altri contingenti impegnati in Egitto. Una resistenza che appare del tutto insensata visto il contesto, ma che allora era forse l’unico modo per cercare di aiutare i connazionali impegnati sul fronte nord-africano e che la dice lunga sul coraggio, la determinazione e l’amore per la patria di questa sorta di epico guerriero di nome Amedeo Guillet, noto con il leggendario soprannome di Cummandar-as-Shaitan, ovvero il Comandante Diavolo. Conosciamo questo controverso personaggio attraverso il ritratto che ne traccia quello che è stato al tempo stesso suo nemico e profondo estimatore, Vittorio Dan Segre. L’autore racconta le intrepide gesta dell’ufficiale italiano e dei suoi uomini delle Bande Amhara a cavallo prima nella guerra regolare, poi nella guerriglia successiva alla sconfitta. Contravvenendo alle direttive dei vertici del regime che intimano a tutti i militari la resa, Guillet sveste la divisa ufficiale, cambia nome e aspetto diventando il musulmano yemenita Ahmed Abdallah Al Redai e continua una sorta di guerra privata affiancato dai suoi leali soldati indigeni che accettano di seguirlo soltanto in virtù del suo carisma e della stima che provano nei suoi confronti, senza paga, spesso senza acqua e senza cibo, al servizio di una corona e di una bandiera straniere ma spinti dalla profonda e ineluttabile devozione per il loro comandante. Poi la tormentata fuga verso lo Yemen, il rimpatrio e la ripresa delle armi questa volta al fianco degli alleati perché, in ogni caso, ciò che lo spinge a combattere è sempre e solo il bene della sua nazione. La magia dei paesaggi africani, il fascino esotico dell’avventura, l’ascendente di un personaggio leggendario, l’interessante contesto storico sono tutti punti a favore di quest’opera in cui c’è spazio anche per l’amore, con un protagonista diviso tra la dolce cugina Bice che lo aspetta in patria per sposarlo al suo ritorno e la bella concubina Kadija, inseparabile compagna della sua vita africana. Se tutto ciò fosse stato raccontato con una forma più romanzata ne sarebbe venuto fuori un libro straordinario. Invece Segre sceglie una forma a metà tra romanzo e dossier che però non ha né la forza emotiva del primo, se non in rari passaggi e in forma molto lieve (per esempio nel capitolo “Al Sayed Ibrahim”), né l’ordinata struttura del secondo, perché le informazioni passano continuamente da un argomento ad un altro, spesso si ripetono e a volte si soffermano su dettagli di scarso interesse. La prosa del tutto asettica e la freddezza della narrazione contribuiscono poi ad abbassare il valore di un’opera che non riesce mai a sfruttare completamente l’ottimo potenziale di partenza, ma che rimane comunque una lettura interessante per conoscere meglio un periodo storico spesso trascurato e un grande patriota che in pochi hanno anche soltanto sentito nominare.