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Ne rimango un po' perplesso. Non perche' sia leghista ma perche' si presenta come uno studio etnografico a scopo antropologico, come spiega la Dematteo all'inizio, ma in realta' mi sembra finire piu' come uno sfogo personale contro quelli che, a sua percezione, l'hanno trattata male (dopo che se l'era cercata, pero', se non sbaglio, dato Daniele Belotti l'aveva accolta molto bene e introdotta ovunque, quando lei si era presentata come una studiosa francese appassionata dal loro militantismo).Piu' che un saggio antropologico mi sembra una comune inchiesta giornalistica basata su osservazioni alquanto ovvie sul comportamento del 'cafone' leghista (che tutti conoscevano gia') e piena di interpretazioni soggettive su questo e quell'individuo (peraltro mai intervistati dato che lei cita principalmente Belotti), con riferimenti a scritti di questo e quel giornalista (quindi cose altrettanto discutibili) anziche' fonti statistiche e studi demoscopici chiari, fatta eccezione (grazie al cielo!) all'inizio per gli studi di Ilvo Diamanti . Lasciando il metodo, e venendo ai contenuti, tolti i sentimenti personali per Belotti che occupano fin troppe pagine, l'intento antropologico iniziale di identificare un pattern e un profilo xenofobo e razzista simili a quelli che connotarono i grandi totalitarismi del ventesimo secolo ma piu' pericoloso perche' nascosto sotto una veste di giullare e 'idiota' mi pare molto interessante ma poi mi sembra perdersi nel viaggio tra i leghisti, sempre piu' spiazzato dai suoi risentimenti femministi davanti all'ovvio sciovinismo dei 'membri' del branco leghista bergamasco. E' che enfatizzare il carattere sciovinista di Bossi e dei suoi accoliti mi pare come esultare per la scoperta dell'acqua calda!
L'idiota in politica è, per definizione, chi non si allea con nessuno. ABSIT INIURIA VERBIS, dunque. Lynda Dematteo, introdotta nel circuito intellettuale italiano da Gad Lerner (che cura la prefazione al volume) attraverso "L'Infedele", frequenta per un anno, sul finire dei '90, la sede provinciale della Lega Nord di Bergamo. Il reportage che ne scrive trascende il puro giornalismo d'inchiesta, espandendosi, per li rami, nella sociologia politica e, segnatamente, nell'antropologia politica ma non lambendo la filosofia politica, poiché il pensiero leghista è estremamente debole, quasi evanescente. Nell'introduzione l'autrice esplicita le proprie basi metodologiche e dice "mi sono basata su concetti elaborati dagli antropologi africanisti della Scuola di Manchester" (pag. 21). Procediamo nella lettura, traendone l'essenziale. Poco dopo, nel primo paragrafo del primo capitolo, parlando della "voce della rivolta", analizza la spontaneità del linguaggio leghista, che trova "pieno di stereotipi tanto linguistici tanto sociali. Le dicotomie semantiche impiegate tratteggiano un mondo manicheo i cui i nemici sono chiaramente identificati" (pag. 25). Sia detto per inciso che l'apologia del luogo comune (ovunque presente in Italia) è stata studiata da Alberto Arbasino in molti scritti. Poi l'autrice passa in rassegna i volumi (al contempo descrittivi e propagandistici del fenomeno leghista) del compianto Daniele Vimercati e di Gian Antonio Stella. Espone, dettagliatamente, la nascita della Lega come partito politico che si dice antisistema, non essendolo affatto. Anzi, dalla pratica interna, risulta un partito leninista, data l'assenza di democrazia e/o di democraticità. Umberto Bossi (in gioventù squattrinato perditempo), politico leghista per antonomasia, usa gli stessi schemi di comunicazione verbale ed iconica di maschere della commedia dell'arte come Arlecchino e Gioppino per ribaltare la verità.
E' un libro coinvolgente, divertente e scorrevole. Alterna precise notizie "storiche" e meticolose interviste a passaggi densi di umorismo. Spero che molte persone lo leggano, perchè la riflessione che genera è davvero interessante e può innescare considerazioni di più vasta portata. Davvero bello!
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