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Anno edizione: 2010
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Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
un libro molto leggero e accattivante che ti tiene incollato alle proprie pagine. Finale senz’altro inaspettato, assolutamente promosso!
Il testo è stato consigliato a mio figlio, l'ha trovato ben fatto
Ammaniti propone in questo libro una storia forse un po' buffa... il protagonista, molto giovane, decide di sfuggire alla pesantezza della vita raccontando delle bugie alla madre e riuscendo a concedersi qualche giornata di "relax" in cantina, nascosto da tutti. Qui, dove dovrebbe vivere la sua vita serenamente e immaturamente, si ritrova invece a dover affrontare una figura familiare che chiederà disperatamente il suo aiuto e la sua accoglienza... il finale lascia un po' l'amaro in bocca e credo in ogni caso che sia lecito scoprirlo tramite la lettura dell'opera. Ne consiglio la lettura.
Recensioni
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Il grottesco e l'iperrealismo livido della scrittura di Niccolò Ammaniti avevano trovato un equilibrio interessante nei capitoli-videoclip di Ti prendo e ti porto via (1999). Nei romanzi successivi, lo scrittore ha scelto di privilegiare l'una o l'altra strada (Come Dio comanda del 2006; Che la festa cominci del 2009). Io non ho paura, del 2001, il suo maggiore successo, sembrava di un altro Ammaniti: veloce, cinematografico, ma più sorvegliato, meno incline alla caricatura o all'inquadratura violenta. Mettendosi in ascolto di una voce di ragazzino, era riuscito a costruire una storia catturante e a evocare un'atmosfera l'Italia, l'estate del 1978, un piccolo luogo inghiottito dai campi di grano che non si dimentica. Nel recente Io e te torna una voce giovanissima: è il monologo di un adolescente romano stavolta, Lorenzo Cuni, alle prese con piccole nevrosi da privilegiato. La tonalità della scrittura è molto vicina a Io non ho paura: un racconto in prima persona, secco, rapido, con frasi spezzate, paragrafazione insistita; una studiatissima mimesi del parlato. "Avevo sbagliato tutto. / Ecco cosa dovevo fare. / Imitare i più pericolosi. / Mi sono messo le stesse cose che si mettevano gli altri. Le scarpe da ginnastica Adidas, i jeans con i buchi, la felpa nera con il cappuccio. Mi sono tolto la riga e mi sono fatto crescere i capelli".
Lorenzo, cresciuto "come le piante grasse", senza disturbare, sperimenta fino in fondo la difficoltà di essere riconosciuto e accolto dagli altri. I benestanti genitori lo trascinano inutilmente nello studio di uno psicoanalista, preoccupati dagli improvvisi e violenti scatti di rabbia che interrompono la sua quiete apparente. Alle volte fa paura, dice la maestra. Ha il "Sé grandioso", dice lo psicoanalista. Lorenzo intanto, confuso e disorientato, finge prima con se stesso, poi con i suoi genitori di essere stato invitato dai compagni di classe a una settimana bianca. "Mia madre mi ha guardato come se le avessi detto che mi era cresciuta la coda. Ha cercato una sedia, ha preso un respiro e ha balbettato: Tesoro, come sono felice". Poi si chiude in bagno e piange. Lorenzo non sa, non può dirle che non è vero. Decide di nascondersi in cantina per una settimana. E questa è l'invenzione che sostiene il romanzo: un adolescente che si assenta in una cantina-bunker come in un sottomondo in cui per paradosso tutto diventa più facile e più chiaro. Le bugie telefoniche per rassicurare la madre non gli pesano troppo, né la solitudine, che riempie leggendo Stephen King e con i videogiochi. Si spruzza sul viso l'autoabbronzante e pensa alla sua vita: una nonna che viveva in un attico e beveva Bloody Mary ora sfiancata dal cancro; piccoli istanti di felicità familiare, altri inquinati da rivelazioni inattese. Come in quella mattinata trascorsa con la madre ("il mondo oltre i finestrini e io e mamma in una bolla nel traffico") e finita con un tipo che la accusa di avergli rotto lo specchietto della Smart. " Guardi che è lei che mi è venuto addosso
È colpa sua. (
) È colpa mia? Chi? Io? Io ti sono venuto addosso? Poi si è alzato in piedi, ha allargato le braccia e ha grugnito: Che cazzo stai dicendo, troia? (
) Teo! Teo! Lasciala perde', è tardi. Tanto non capisce. 'Sta borghese di merda". L'episodio segna Lorenzo, si scolpisce nella sua memoria e Ammaniti lo racconta con insistenza, come un presagio (di esclusione? di infelicità?). Ma c'è qualcuno che ancora per strada, in una situazione simile userebbe la parola "borghese"?
Nella cantina, stipata di oggetti e ricordi di una vecchia contessa, si affaccia all'improvviso la ragazza Olivia. Arriva come un uragano o un terremoto: dopo le prime schermaglie, Lorenzo, che non la vedeva da tempo, la accoglie e si lascia investire dalle sue complicazioni. La vede stare male, vomitare, disperarsi. Olivia, la sensuale Olivia che turbava le sue estati di ragazzino, è adesso una giovane donna smagrita, devastata dalla droga, dura e rabbiosa. Io e te diventa a questo punto il racconto della conquista della congiunzione "e": la storia di una fratellanza recuperata, dove il più fragile si trova a proteggere chi dovrebbe proteggerlo. Ammaniti mostra gesto per gesto la costruzione elettrica e precaria di un'intimità: ci spiega per minuscole tappe come la cantina-bunker-sottomondo si trasformi in un guscio caldo fatto apposta per prendersi cura di qualcuno, per mettere a contatto due solitudini e le rispettive "ondate di dolore". "Le dita della mano di Olivia si muovevano a scatti, come i cani quando sognano". Molte frasi, immagini, idee (per esempio la buffa storia, un po' à la Cheever, del robottino pulisci-piscine che non riconosce il mare) sono efficaci; spingono senza intoppi il libro verso il suo esito tragico. Qualcosa però lascia insoddisfatti, qualcosa manca. Anche quando finalmente affiora un ricordo lontano in cui a proteggere Lorenzo era stata Olivia (" Io e te? Sì . Ha fatto un tiro dalla sigaretta. Io e te."), un altro, ma luminoso presagio, non si avverte l'urgenza, la necessità, l'emozione autentica.
Paolo Di Paolo
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