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Entrare in un luogo chiuso. Aprire le porte del manicomio. L’operazione è rivoluzionaria, perché sovverte il tradizionale gioco dei ruoli. Il potere del carceriere si dissolve, il recluso si riappropria della propria identità di individuo, ridefinita dall’interno, non più predeterminata dall’inquadramento nella struttura. L’idea di Franco Basaglia era ispirata alla necessità di restituire al “malato di mente” la sua dignità di essere umano, di cittadino, affrancandolo dall’azzeramento della persona, dall’uniformazione protocollare che lo aveva ridotto ad oggetto, a semplice destinatario di cure e di custodia, a soggetto senza diritti. La visione di una via alternativa per il “paziente psichiatrico” si traduce, in queste pagine, in un esperimento concreto, in una discussione tra i protagonisti della sua realizzazione, in un problema pratico che, nella sua complessità, è anche un terreno di sfida, di esplorazione, di confronto. Le trascrizioni degli interventi delle assemblee di reparto ci portano dentro ad un mondo che, abituato ad esistere come una realtà separata dal resto, fa fatica a pensarsi come parte della società, come luogo in cui vige la libertà di scelta, e tutto può essere messo in discussione. Se le testimonianze presentate, da un lato, ci propongono il cambiamento come inevitabile, dall’altro ci dimostrano gli enormi ostacoli naturalmente insiti nella sua provocatoria contraddittorietà. L’inclusione è un dovere morale, ma la diversità continuerà a sottrarsi ad ogni logica e disciplina, mettendo in crisi il sistema della convivenza. Ciò che è splendidamente giusto, può, nei fatti, rivelarsi maledettamente difficile. Eppure, nonostante tutto, ci si può credere ancora.
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