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Storie di vita e narrazioni autobiografiche hanno un grande valore per comprendere dall'interno i percorsi di vita delle tossicodipendenze e per poter dare una lettura decisamente non convenzionale dei meccanismi di uscita dall'imprigionamento nel tempo circolare proprio del meccanismo delle dipendenze. Il libro di Luigi Dal Bon possiede delle indubbie qualità, poichè offre una panoramica completa della sua storia di vita, sin dalle prime esperienze con le droghe, inscritte in un quadro di sperimentazione di un modo di vivere al di fuori degli schemi e diverso dalla strada già tracciata dalle convenzioni della sua comunità di appartenenza, sino all'uscita dalla dipendenza, passando attraverso una fase di deragliamento esistenziale e per il dramma della sieropositività. Una delle caratteristiche delle esperienze di vita di chi -anche per vicissitudini esistenziali sfortunate -diventa tossicodipendente, senza avere strumenti e aiuti per risollevarsi, sono la solitudine immensa(in cui ci si ritrova immersi sempre più a fondo) e l'isolamento sociale. Spesso, gli stessi rapporti con altri "compagni di strada" sono dominati dall'opportunismo, dal bieco interesse e dalla condivisione del "farsi": quindi, in definitiva, anche quando si è con altri, s'è pur sempre da soli. Salvo che non scattino dei meccanismi gruppali fondati sulla presa di coscienza della propria condizione esistenziale e sull'attivarsi della solidarietà che, a tutti gli effetti, diventa una risorsa preziosa per ciascun individuo e per il gruppo dei pari. Luigi Dal Bon, nella seconda parte della sua storia, racconta appunto il nascere di questa consapevolezza condivisa e della crescita di una forte solidarietà reciproca che è alla base dei meccanismi fecondi dell'auto-mutuo-aiuto. Vediamo così, in statu nascendi, il costituirsi del primo nucleo de "I ragazzi della panchina" che, a poco a poco, diventa un baluardo in mezzo a tanta morte e desolazione, assumendo la funzione di motore propulsore per un cambiamento ed una progressiva trasformazione
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