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Anno edizione: 2019
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Una storia che fa riflettere e molto, come tutte le storie sull'antisemitismo. Lo stile della narrazione purtroppo è un po' scarso: Larsson è stato troppo prolisso e ripetitivo a tratti, si è dilungato troppo. A tratti invece manca di spessore. Insomma: poteva essere più conciso, soprattutto nella parte scientifica e nel finale senza di nuovo ripetersi quando, come lettori, si vorrebbe finalmente sapere che fine abbia fatto la vita del povero Martin. Per la storia e le riflessioni che ne seguono: 5 stelle. Per lo stile: anche meno di una stella.
Mi ha molto deluso questo 'romanzo'. Assurda la trama: come si può vivere cinquant'anni con una sconosciuta (niente niente è la madre del protagonista)? Identificarla dopo la dipartita e ritrovarsi con una nuova identità? Mi sembra un libro scritto per gioco da un genetista fanatico. Inoltre la famiglia del professore sembra finta (Cristina, la moglie, Sara la figlia sembrano figurine Liebig). Non c'è accidente, non c'è nessun piccolo tanfo di vita vissuta Insieme. Il lavoro stesso del professore è banalizzato. E' tutto artificioso in questo tentativo letterario malriuscito. Avvincente il dilemma genetista ma è già stato trattato in tutte le salse: da Sant'Agostino a Philip Roth, siamo un terzo di quelli che ci hanno preceduti (dna), un terzo dell'ambiente che ci alleva ed un terzo di esperienza, in quest'ultimo terzo abbiamo capito che più che il talento conta la fortuna. Mi è parso il 'canovaccio' per un film: l'aridità descrittiva, il colloquiato, l'assenza di una città (invisibile) tutt'intorno. E' nobile l'impegno contro l'antisemitismo, triste fiume carsico che riaffiora nella storia europea, ma è stato già trattato con migliori risultati. Primo Levi, Anna Frank... Tutto è stato già detto: chi non ha capito non capirà mai. Lettura inutile.
L'ho trovato un po' scoordinato e sottotono questa volta il buon vecchio Larsson; troppo diluito, per non dire slavato e assai ripetitivo. Pesante quando parte con le schede tecniche stile Wikipedia, nell'approssimativa miscellanea di trattatelli pseudoscientifici ad azzardato sfondo socio-antropologico, ficcati qua e là, che più che apportare contenuti significativi, creano una certa confusione e discontinuità nella narrazione. Narrazione che già, di per sé, non brilla, anzi, è per lunghi tratti proprio noiosa, non priva di patetismi e scrittura piuttosto mediocre. «So che così questo libro rompe con le convenzioni e diventa un ibrido: parte come un romanzo classico basato sul principio flaubertiano del narratore impersonale e assente e si conclude come una biografia con inserti autobiografici. Ma non posso farci niente.» Ed è proprio questa la sua debolezza. Anche se evidenzia una preoccupante generale dilagante recrudescenza antisemita, ho di gran lunga preferito Larsson quando scriveva di pirati e cabotieri, di barche e di mari attraverso i quali mi faceva piacevolmente e avventurosamente viaggiare, piuttosto che ritrovarlo in questa improbabile veste di saggista che fa acqua da tutte le parti. La storia di Martin e famigliola, sebbene vera, non suscita gran curiosità nonostante tiri in ballo la forte questione dell'identità ebraica. Se proprio proprio, su questa faccenda etnica dell' 'essere se stesso' o del 'chi si vuole o non si vuol essere', ma soprattutto in merito a fede, cultura e identità ebraica con relative complessità e contraddizioni, meglio allora affidarsi a Philip Roth e al suo (per Larsson, in tutti i sensi, inavvicinabile) "La macchia umana" ed eventualmente a Chaim Potok e incidentalmente alla Némirovsky. Esperimento, a mio avviso, parzialmente fallito, al quale solo la Parte terza apporta leggero rimedio sia per la gravità delle questioni poste sia dei fatti accaduti.
Recensioni
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Profonda la connessione in La lettera di Gertrud di Björn Larsson tra i temi focali del romanzo: l’identità, la scelta e il destino dell’individuo.
Il gentista Martin Brenner scopre che la madre era ebrea. L’essere ebreo è una condizione determinata nel passato da tradizione e genealogia: non l’ha desiderata né pianificata e, secondo Martin, è ininfluente nella sua esistenza. Malgrado ciò, il suo approccio razionale da scienziato lo porta a documentarsi a fondo sulla religione ebraica, immergendosi nella lettura e nello studio. Attraverso le indagini e i grandi interrogativi che si pone Martin, anche noi lettori veniamo guidati nella sua ricerca dell’impossibile risposta alla domanda: «che cosa significa essere ebreo?».
Björn Larsson ci fa riflettere sull’ossessione dell’appartenenza e – nello specifico – anche sull’antisemitismo, due problemi con cui la società si confronta da tempi remoti, ma che certamente oggi hanno assunto nuova e maggior visibilità con l’uso massivo dei social network. Ma La lettera di Gertrud non si esaurisce in una dissertazione sull’ebraismo: la vita quotidiana, le dinamiche familiari, il dialogo con la moglie, la figlia dodicenne, i colleghi e gli amici entrano nella narrazione, e costruiscono un personaggio reale e coerente. L’ambientazione della storia è volutamente sfumata in una qualsiasi città nordeuropea, si tratta quindi di un romanzo senza geografia, una caratteristica che ne accentua l’istanza universale. Martin, come chiunque di noi farebbe, si chiede da subito a chi e quando dovrebbe rivelare la verità sulle sue origini, ammesso che debba farlo. E così inizia a compiere le sue scelte: razionali, meditate e coerenti, ma che determineranno un inatteso futuro.
Recensione di Lara Vianello
A cura del Master Professione editoria cartacea e digitale
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