Il libraio di Kabul - Åsne Seierstad - copertina
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Letteratura: Norvegia
Il libraio di Kabul
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Descrizione


Quando l'autrice, giovane giornalista norvegese, entra a Kabul al seguito delle truppe alleate, una delle prime persone che incontra è Sultan Khan, il libraio. Con lui, nella sua bottega, inizia a parlare di letteratura, di cultura, della situazione del Paese, ma anche della sua famiglia, talmente rappresentativa del mondo afgano che Åsne pensa di poterla raccontare in un libro. Così, per tutta la primavera successiva alla caduta dei Talebani, viene accolta a casa Khan e diventa la figlia bionda del libraio di Kabul. È testimone di amori proibiti, di matrimoni combinati, di reati e punizioni, di ribellioni giovanili, e della severità con la quale la società islamica detta ancor oggi i modi in cui ciascuno deve vivere la propria vita.

Dettagli

Tascabile
18 ottobre 2005
321 p., Brossura
9788846208187

Valutazioni e recensioni

  • Vivendo con la famiglia di Sultan Khan, l’ultimo venditore di libri rimasto a Kabul, la scrittrice ricostruisce uno spaccato della vita in Afghanistan dopo la cacciata dei talebani. Il romanzo è sconcertante perché è terribile la vita degli afgani oppressi dalla miseria, dai pregiudizi e da una cultura che mortifica non solo le donne, ma tutti quelli che non hanno avuto il privilegio di essere il primo figlio maschio. Per chi non è il primogenito maschio, la vita è solo una lotta continua per la sopravvivenza e i propri sentimenti, i desideri o inclinazioni non contano niente (addirittura uno dei figli piccoli del ricco Sultan è sempre chiuso nella bottega del padre ed è gracile anche perché non vede mai il sole). Se poi nasci donna, l’unico valore che hai è nell’arrivare illibata al matrimonio (la donna è una merce di scambio) e poi nel numero di figli maschi che partorisci (maschi naturalmente perché le figlie femmine sono una disgrazia). E’ una non-vita così terribile da rendere la lettura a volte insopportabile: le donne sono sfruttate, vendute e calpestate in ogni aspetto della loro dignità. Io pensavo che il librario fosse una persona meravigliosa, pronta a difendere la cultura contro tutti i regimi e pertanto difensore dei diritti di tutti. Invece anche lui è un tiranno, un misantropo che opprime tutti i suoi familiari (dalla seconda giovanissima moglie trattata come un bel oggetto sessuale ai fratelli maschi più giovani che non possono esprimere alcun parere sulla propria vita). Insomma è un romanzo molto bello ma che fa rabbia e si vorrebbe poter intervenire per liberare le donne dalle loro terribili condizioni di vita (e la figura di Leila è terribilmente drammatica perché costretta a fare da serva a tutta la famiglia del fratello senza poter esprimere il proprio essere). Non sembra poterci essere speranza per l’Afghanistan dilaniata dai signori della guerra che non hanno nessun interesse a convivere pacificamente: solo la guerra esiste per loro, guerra che è espressione di potere (Un soldato afferma tristemente: “Sai qual è il nostro problema? Sappiamo tutto di come si usa un’arma, ma non siamo in grado di usare un telefono”). Ma se anche all’interno di una famiglia come quella di Sultan i fratelli litigano per potersi esprimere (Sultan è il capo e chi non gli obbedisce ciecamente viene allontanato dalla famiglia), come si può pensare di far convivere pacificamente etnie diverse? E’ la condizione femminile, però, l’aspetto più spaventoso simboleggiato dal burka: non solo fa respirare a fatica, ma limita anche la visione. Per vedere di lato, infatti, le donne come i cavalli devono girarsi completamente e questo permette agli uomini di controllare anche cosa stanno guardando. E poi la polvere continua che copre tutto e sembra simboleggiare una situazione di sofferenza che c’è sempre stata e che è impossibile da eliminare (Leila si volta, fa quei tre passi che la separano dalla soglia, si chiude silenziosamente la porta alle spalle e se ne va. Il suo cuore infranto è rimasto lì. Presto si mescolerà alla polvere che entra turbinando dalla finestra, a quella che si nasconde nei tappeti. La sera stessa sarà lei a spazzare via tutto e gettarlo nel cortile di fuori).

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