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Anno edizione: 2010
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Ci sono libri che, una volta terminati, lasciano ammutoliti per tanta bellezza. E' il caso del "Libro dei bambini ", un lungo, meraviglioso viaggio al termine del quale l'unica reazione per me possibile è appellarmi al pennacchiano diritto di tacere per non disperdere con l'insufficienza delle mie parole quello che la diabolica penna della Byatt, una scrittura magistrale che non sembra di questa epoca, mi ha lasciato. Per questo ho tardato tanto nel recensirlo. Ma poi devo fare i conti pure con l'insufficienza della mia memoria e la paura di dimenticare anche ciò che ho amato. La scrittrice ci riporta dunque al periodo tra la fine del '800 e la prima guerra mondiale e ricostruisce , attraverso la vita di due generazioni di famiglie, quel mondo, sia nella sua dimensione ideologica,le utopie sociali, il filantropismo, il fabianesimo, le teorie artistiche, sia nei suoi aspetti più "materici" , oggetti d'arte, vasi, carte da parati, spille. E' un mondo che per la prima volta si interessa all'infanzia e guarda ai bambini come dotati di personalità propria ma che poi tradirà i suoi stessi figli mandandoli al sacrificio della grande guerra, insieme a tutte le idee d'avanguardia. Ma questo è dire ancora nulla di questo grande romanzo che ha anche un taglio metanarrativo, mettendo al centro Olive, la figura di una scrittrice che consente di riflettere sul potere della scrittura e della narrativa nella formazione dei singoli e sull'intreccio tra arte e vita. Insomma è un romanzo che vale la pena di affrontare e di gustarsi pagina dopo pagina.
Byatt è tra le scrittrici da me preferite. Questo libro corposo, nonostante la ricchezza di particolari e il folto intreccio umano, si lascia leggere con sufficiente scorrevolezza. Terminato, lascia la sensazione di aver ricevuto in dono storie vere.
Romanzo storico altalenante, tanto intenso e ricco di contenuti, quanto frammentario nello stile: frasi spezzate, poco scorrevoli e capitoli che non fluiscono l'uno nell'altro. Nella parte conclusiva questa discontinuità si accentua, l'intermittenza si trasforma in bollettino di guerra, in una foresta di nomi. Forse manca un'intelaiatura coerente, capace di concatenare una serie di eventi in un racconto compiuto. Nonostante ciò, l'opera presenta vari pregi. L'autrice ricostruisce le sfaccettature di un'emblematica fetta della società di fine ottocento, mostrata in tutte le sue varietà precariamente utopistiche, antitetiche al perbenismo vittoriano. Interessante constatare come alcuni ideali libertari dell'epoca furono adottati e superati, per poi tornare di nuovo in auge. Uno dei tanti argomenti che A. Byatt richiama alla memoria, è la lotta per estendere il diritto di voto alle donne, per cui molti andarono incontro a morte o detenzione. Alcune conquiste oggi sembrano scontate, ma vanno ancora difese. Proprio in questi giorni, cento anni dopo, si discute addirittura sul sistema elettorale e la parità fra i generi nelle candidature. La trama mette in risalto un altro grande tema, la sensibilità artistica, il potere dell'immaginazione, l'attenzione per i particolari, l'estasi del processo creativo; in un luogo e in un'epoca, in cui era viva la tendenza a valorizzare questi aspetti, con il conseguente fiorire delle arti ornamentali, tese a produrre oggetti utili oltre che belli. La passione smisurata per la creazione, fa sì che l'artista si concentri eccessivamente su se stesso, relegando ciò che ha intorno a mera funzione strumentale. L'affermazione di uno dei personaggi, a proposito del romanzo "Peter Pan", costituisce un commento adatto anche a "Il libro dei bambini": "Non che non ti si infili sotto la pelle e non ti invada la mente, ci riesce senz'altro. È un'opera di genio, ma il genio è contorto come un cavatappi."
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