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Anno edizione: 2007
Anno edizione: 2021
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"La storia della lingua è storia di quella 'terra sterminata' che è l'anima umana": così Leo Spitzer concludeva, nel 1922, la postfazione alla sua Italienische Umgangssprache già terminata nel 1914, mentre "l'Europa tutta era scossa dal fragore della guerra". Di ardua lettura nella lingua originaria, quest'opera più famosa che conosciuta è diventata finalmente accessibile qui da noi, in virtù dell'eccellente traduzione italiana, anche a chi non ha dimestichezza con le affascinanti tortuosità stilistiche del viennese Spitzer, linguista e filologo principe. A Maria-Elisabeth Conte, che dieci anni fa aveva proposto di tradurre questo grande libro ritenendolo antesignano degli studi di "pragmatica dell'interagire dialogico", Cesare Segre dedica la presentazione del volume e Claudia Caffi il saggio introduttivo La pragmatica a venire. I preliminari dell'edizione, che comprendono anche la ricca nota alla traduzione di Livia Tonelli, sono un corredo necessario alla comprensione del testo. Che è un unicum per l'originalità e la tenuta anticipatrice delle idee su cui Spitzer fonda le sue analisi. Opportunamente Livia Tonelli ha scelto di tradurre il termine Umgangssprache non con la consueta espressione dizionaristica "lingua d'uso", ma con "lingua del dialogo", che interpreta fedelmente le intenzioni dichiarate dall'autore: spiegare i fenomeni dell'italiano parlato "sulla base degli elementi costitutivi del dialogo tra due o più interlocutori". Una prospettiva pragmatica ante litteram nello studio dei fatti di lingua, che precorre di cinquant'anni il dialogismo di Bachtin e le teorie degli atti linguistici di Austin e di Searle, e di un'ottantina d'anni le analisi conversazionali.
Al sorprendente anticipo sui tempi che mise in ombra la novità delle analisi spitzeriane si aggiunge una circostanza sottolineata da Segre: il successo che ebbe alla metà del secolo scorso la stilistica letteraria di Spitzer spostò sul versante degli studi dedicati alla lingua degli scrittori l'apprezzamento del magistero inimitabile di questo grandissimo fra i cultori di lingua e di stile. Nella cui opera "così multiforme e irresistibilmente esoterica", come aveva visto bene Benvenuto Terracini, perdurava il "fondo della sua prima iniziazione di schietto e sensibilissimo linguista". Le tappe di tale iniziazione sono scandite da Segre, a cominciare dai rilievi sintattici su particolarità d'uso di diverse lingue romanze, apposti alla celebre tesi (del 1910) sulle innovazioni linguistiche di Rabelais: studio sullo stile di un autore, dunque. Ma quando le note, osserva Segre, "hanno carattere stilistico, si tratta sempre dello stile della lingua, antica o contemporanea, mai degli autori". Così è anche per altri lavori compiuti nello stesso torno di tempo. Fra questi il volume Lettere di prigionieri di guerra italiani, del 1921 (tradotto nella nostra lingua nel 1976), e quello (del 1920) sui giri di parole usati per esprimere la nozione di "fame" in italiano.
Stile della lingua contrapposto allo stile degli autori: prospettive differenti e speculari, sintetizzate nella diade Sprachstile/Stilsprache, i cui membri compaiono come sottotitolo rispettivamente del primo e del secondo volume delle Stilstudien. Segre chiarisce autorevolmente i due fondamentali risvolti dell'operosità spitzeriana e fa giustizia della diffusa presunzione di contrapporre Spitzer iniziatore della stilistica letteraria a Bally iniziatore della stilistica della lingua: la base documentaria si trova nelle prime pagine della prefazione a Lingua italiana del dialogo, dove l'autore dichiara di avere ripreso metodicamente da Bally sia "l'uso del concetto di sinonimia non in senso strettamente grammaticale, ma psicologico", sia "l'inclusione dei valori stilistici, la separazione degli elementi affettivi da quelli intellettuali, la considerazione di tutti quei fattori imprevedibili che questo sottile osservatore della lingua come 'essa è realmente' ci ha insegnato a vedere". Non saranno dunque le classificazioni di una grammatica logicizzante a scoprire come pulsa il cuore del discorso; bisognerà invece penetrare dentro i meccanismi psicologici in atto nello scontro agonistico in cui consiste il rapporto dialogico tra parlante e interlocutore nell'avvicendarsi di adesione e di contrasto reciproci. I campioni di lingua rappresentativi del parlato colloquiale sottoposti alla polverizzazione di analisi finissime sono tratti da opere di modesta caratura letteraria, italiane e dialettali: testi teatrali, dialoghi estrapolati da composizioni in prosa e in versi, esempi registrati in dizionari. Poco importa se vi troviamo espressioni ora desuete: possiamo sostituirle, come avverte Segre, con modi di dire equivalenti nel parlare odierno senza che il valore delle scoperte di Spitzer ne sia intaccato.
"Ciò che Spitzer chiama psicologico può essere riletto come pragmatico" afferma Claudia Caffi. La studiosa espone in modo ineccepibile le ragioni che inducono a leggere Lingua italiana del dialogo "come trattazione pragmatica dell'italiano parlato, o meglio, dell'italiano dialogico". Innanzi tutto, l'impianto: "il testo è organizzato sull'articolazione fondamentale della situazione comunicativa: parlante, ascoltatore; e sull'articolazione fondamentale del turno di parola: apertura e chiusura". Il turno di parola è l'unità di base; l'oggetto di indagine "non è, genericamente, la situazione comunicativa, ma la situazione comunicativa nelle sue dimensioni soggettive e interpersonali", nel suo mutare incessante al proferimento di ogni enunciato. Caffi individua persuasivamente i "centri di irradiamento" intorno a cui è aggregata la materia all'interno dei quattro capitoli (Forme di apertura del discorso; Parlante e ascoltatore; Parlante e situazione; Forme di chiusura del discorso) e guida il lettore in quel "bosco" rigoglioso il cui humus è "l'intrinseca dialogicità della lingua". Chi ha pratica delle odierne analisi conversazionali non finirà di sorprendersi per l'attualità delle categorie interpretative che reggono le anatomie spitzeriane dei dialoghi; in primo luogo, quel concetto polivalente oggetto privilegiato di numerose analisi pragmatiche dagli anni ottanta in poi che è la cortesia. "Correlata com'è alla necessità primaria di farsi capire, afferma Caffi sta alla radice stessa dei comportamenti verbali" e delle strategie messe in atto da ciascun parlante. Fra le più comuni, "sfumare le scelte discorsive, velarle tra dire e non dire, modularle per sondare una reazione, mitigarle per farle meglio accettare".
La capacità ineguagliata di descrivere i congegni dell'agire con le parole porta Spitzer a spaziare fra grammatica e retorica nella ricchezza inesausta delle prospettive da cui sminuzza i fenomeni linguistici. Il lettore è colpito, e talvolta perfino spiazzato, dal lussureggiante metaforismo del discorso. Qualche esempio fra i molti: gli "squilli di tromba" delle forme di apertura; le "pistole puntate al petto dell'ascoltatore", cioè le allocuzioni; le interiezioni, "musica assoluta, come canti senza parole"; il diminutivo, "uno specchio convesso che rimpicciolisce tutte le dimensioni"; i mezzi linguistici che "funzionano un po' come dei fermagli, che vorrebbero arrestare la fuga del vento" (fra questi, sai, ci stai?, scusi sa, dove l'autore, come in altri casi, rileva il valore della mancanza di punteggiatura, mi spiego?, definito come "locuzione tipicamente italiana" più cortese di capisci?); i passaggi che "trasmettono un'impressione di afa temporalesca". Non mancano generalizzazioni quanto meno problematiche sul carattere degli italiani, compensate infine dalla dichiarazione di universalità che Spitzer stesso attribuisce alla sua descrizione dell'attività di parola esemplificata sulla nostra lingua: "Quell'antinomia tra passione e calcolo che si riscontra nel discorso ed è considerata autenticamente italiana si dissolve in una caratteristica propriamente umana".
Bice Mortara Garavelli
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