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La locandiera - Carlo Goldoni - copertina
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La locandiera - Carlo Goldoni - copertina
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Descrizione


La semplice e coerente struttura drammatica; la salace, e insieme critica, contrapposizione tra le "aristocratiche" idiosincrasie degli ospiti della locanda e i domestici affetti degli "umili" ceti mercantili; il continuo oscillare tra il polo della "passione" e quello della "finzione"; questi gli elementi che costituiscono il formidabile milieu in cui si staglia, affascinante e senza tempo, il personaggio della locandiera. Ma più che come un "elogio di Mirandolina" - intesa come eterno femminino -, la più fortunata delle commedie goldoniane andrebbe letta come "l'apologo di una rivalutazione della donna e del suo lucido uso, a sufficienza spietato, dell'intelligenza come strumento di affermazione sociale".
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Dettagli

15
2014
Tascabile
2 gennaio 2014
160 p., Brossura
9788811810063

Valutazioni e recensioni

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Cristiano Cant
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I grilli della malizia e le mille note del corteggiamento, il desiderio incessante e le promesse disattese, perché alla fine è sempre lei che sceglie, che gestisce, che ordina. Mirandolina, la creatura che tutti rincorrono, che ardono di possedere, è in realtà la vera burattinaia di un maschile alle corde, stentatamente goffo e infantile per entrare nelle grazie di una donna che semina vanità fra i suoi tavoli ma riesce lo stesso a tener testa a chiunque col suo spirito pratico, con una conoscenza chiara e naturale di chi la attornia. Non c'è tempo per ventagli e lustrini, c'è il suo lavoro. Qualche dolce sguardo si può concedere, persino - come accadrà - la deliberata volontà di mettere in mezzo l'arrogante cavaliere di Ripafratta, orrendo lamentoso dei servizi della locanda. E tuttavia saranno sempre seduzioni sfiorate, speranze affossate, niente che travalichi un impegno, un progetto affettivo. La frizzante bellezza del testo è però proprio in quei momenti nei quali l'illusione si dà, quei passaggi nei quali la tentazione provoca con le leggi della carne una possibilità esaudita, il quasi afferrato, la vanteria finalmente assolta. Il genio di questa donna si rivelerà più accorto e tradizionale dei tanti volteggi pavoneschi dei suoi spasimanti. E' in sostanza un tributo a un'emancipazione autentica contro le patinate aristocrazie del vizio ozioso fine a se stesso, il lavoro come intento a determinarsi oltre le comode espansioni di una vita di piaceri. Dirà a Fabrizio, il servitore innamorato di lei: "Ma che credi tu ch'io mi sia? Una frasca? Una civetta, una pazza? Che voglio fare dei forestieri che vanno e vengono? Se li tratto bene lo fo per mio interesse, dè regali non ne ho bisogno. So chi merita e so quello che mi conviene". Eccola qui la furba matassa della trama, semplice nel suo andamento e insieme uguale a un piccolo trattato sociale; il ricco irriso e l'onesto lavorante che se lo gira e rigira come vuole. Goldoni premia l'intelligenza, premia il cuore.

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Carlo Goldoni

1707, Venezia

Nato il 25 febbraio 1707 dal medico Giulio G. e da Margherita Salvioni, studiò prima a Perugia, poi a Rimini: da qui, nel 1721, fuggì a Chioggia su una barca di comici (la compagnia di Florindo de’ Maccheroni), affascinato dalla vita avventurosa che conducevano i teatranti. Nel ’23, a Pavia, si iscrisse ai corsi di giurisprudenza del collegio Ghislieri, ma presto fu espulso per aver scritto una satira, Il colosso, contro alcune ragazze della città. Si laureò in legge a Padova (1731) e cominciò la professione a Venezia, ma poco dopo un intrigo amoroso lo portò a Milano. Nel ’32 uscì il suo primo lavoro a stampa, l’intermezzo Il gondoliere veneziano ossia gli sdegni amorosi. Nel ’34, a Verona, conobbe il capocomico...

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