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A cento anni dall'impresa di Fiume, le premesse del fascismo al potere.
«Un saggio arricchito da un solido apparato di documenti che narra dell’impresa di Fiume come un frutto del decadentismo militarista dell’epoca» – Robinson
«Villari offre un'interpretazione del più grande interesse confortata anche da documenti inediti» – Il Venerdì
1919. Alla Conferenza della pace di Versailles gli alleati dell'Italia, Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia, non trovano alcuna ragione - diplomatica, giuridica, politica - perché la città di Fiume venga data al nostro paese. Il nazionalismo italiano, in gran parte responsabile della partecipazione alla guerra, insorge con violenza e con profondo risentimento. Gabriele D'Annunzio occupa Fiume, avviando un movimento eversivo, palese e occulto, che da Fiume avrebbe dovuto svolgersi in una «marcia su Roma» per rovesciare il regime liberale e parlamentare e la stessa dinastia. Fu una cospirazione di personaggi e di eventi che operò nei modi più diversi per destabilizzare, in un dopoguerra drammatico, l'Italia. Lucio Villari ha posto questo momento storico, e la personalità e il ruolo svolto da D'Annunzio, al centro del suo racconto, grazie anche a nuovi documenti inediti. Ma chi è stato veramente D'Annunzio? Era la trasfigurazione letteraria, poetica, estetica della sua unicità intellettuale? Oppure mancavano in lui una autentica sensibilità morale e quella «coscienza della parola» che, come dirà Elias Canetti, è presente in ogni esperienza esistenziale e culturale? Molti storici sono inclini a vedere nell'«avventura di Fiume» la sostanziale inoffensività e impoliticità di D'Annunzio, ma i documenti, i ricordi dei contemporanei, i giudizi di acuti osservatori degli avvenimenti testimoniano altro. Fu infatti il fascismo - è utile ancora una volta sottolinearlo - a gestire e realizzare lo spirito, i sentimenti, la «parola» e le vocazioni distruttive di D'Annunzio e del dannunzianesimo.L'articolo è stato aggiunto al carrello
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