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Anno edizione: 2016
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Lettura non facile ma coinvolgente, da farsi non frettolosamente ma creandosi il tempo. Autore fra i piu' alti della letteratura italiana.
Non si smette mai di fare i conti con il proprio padre. Anche dopo morto, anzi, soprattutto dopo morto. Tutto il non detto, il non fatto; tutti i se, i ma e i forse tornano come acidi rigurgiti giorno dopo giorno, per anni, con effetti psicologici e fisici devastanti. Giuseppe Berto - disilluso e disincantato - è un groviglio di tormenti, ipocondrie, sensi di colpa e paranoie, ma ne dice di cose vere!; è un pensare vorticoso amalgamato ad associazioni psicoanalitiche, spalmato su pagine avare di punteggiatura e dense come magma incandescente in cui la nevrosi non è descritta, è rivelata. Brucia, la sua prosa incessante, e intrappola come una ragnatela. È come venire legati davanti a uno specchio ed essere obbligati a guardarsi e a farli anche noi, quei conti. Qui c'entrano Gadda, Svevo, Freud e la psicoanalisi; qui domina la Crisi, e la nevrosi spadroneggia. È una lettura dura e impegnativa, che si gode per originalità della forma, spontaneità e 'oralità' del linguaggio, profondità, enfasi, amara ironia e corposità; una soluzione stilistica che però tende a saturare. Poi ti viene voglia di tornare a qualcosa dalla sintassi più classica nel ritmo, nel respiro e letterariamente più rassicurante, come un buon vecchio Zweig, per esempio. È comunque un gran libro, da affrontare, però, solo se si è disposti a sollevare il coperchio e guardare fino in fondo al pozzo. «Ecco, proprio questo è ciò che può dare una giustificazione al mio libro e in particolar modo alle sue parti più crude e diciamo pure sgradevoli: la validità verso tutti, l'esplorazione di una parte di noi stessi che forse non abbiamo il coraggio di guardare, ma c'è, esiste in noi, e nasconderla non serve che a renderci sempre più ammalati e infelici.»
Sapevo mi sarebbe piaciuto e sapevo che al suo interno avrei trovato passaggi intensi e in grado di farmi tremare. È sembrato uno specchio, a tratti, tanto che alcune cose le ho lette sentendo la mia voce. Alcuni pensieri di Berto erano nella mia testa, e a volte è capitato di sentirmi proprio come lui: colpevole e condannato a qualcosa di terribile. L’ossessione che Dio sia lì pronto a punire – anche per cose normali e umane come la masturbazione - è sempre nella mente dell’autore, è una costante, una fissazione che probabilmente ferisce e fa star male più del dolore fisico e delle fitte che, da come sono descritte, sembrano essere tra le cose peggiori che si possa provare. Che Berto sia stato molto vicino alla religione lo si capisce da subito e lo si era capito anche grazie all’altro suo splendido libro "La Gloria". E restando sempre sul tema del divino, del sacro o della provvidenza, ho trovato Il male oscuro un libro molto influenzato da giganti come Dostoevskij, Tolstoj e Turgenev, con i primi due che, non a caso, e chi conosce gli autori capirà benissimo perché, diventano parte di quel tormento dato dal contrasto tra peccato e piacere. Quella de Il male oscuro è una vera e propria autopsicanalisi ovviamente debitrice di Italo Svevo, tanto che proprio l’autore lo conferma nelle appendici (da leggere assolutamente), ed è quindi un continuo parlare di Io, Super-Io, Es e teorie Freudiane che trovano riscontro nei “simboli” e nelle situazione sparsi nel libro: la masturbazione, il rapporto con il padre e il rapporto che lui “avrà” con la figlia, i personaggi, o per essere più precisi, il modo in cui i personaggi/le persone vengono viste dall’autore. Lo stile adottato da Berto in questo libro può spaventare i curiosi, me ne rendo conto. I punti si contano su due mani, forse una, e il flusso di pensieri raggiunge il suo apice dalla pagina 239 alla 301, pagine in cui i punti scompaiono del tutto. Fantastico, ma non per tutti.
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