La mente pericolosa. Saggio stra-vagante (a partire da Gramsci) sul problema della coscienza critica e del passaggio a un livello di civiltà superiore
Il titolo fa riferimento alla condanna durissima inflitta a Gramsci dal Fascismo al fine di impedire alla sua mente pericolosa di funzionare. La mente pericolosa in questione nel saggio, però, non è solo quella di Gramsci, ma di tutti coloro che, in tempi e in modi diversi, hanno opposto le loro ragioni critiche e il loro amore viscerale per la libertà, l'uguaglianza e la giustizia ad una realtà sociale contrassegnata dall'oppressione – economica, politica, culturale, religiosa – dell'uomo sull'uomo. È la mente che valuta il mondo reale alla luce di un mondo possibile affrancato da quella oppressione: sogno infantile dell’età dell’oro, illusione patetica che rimedia all’urto con una realtà terribile o istanza utopistica che, con il suo stesso riproporsi, attesta che gli esseri umani (alcuni) non si arrendono alle sue dure leggi? La "pericolosità" – stando alle più recenti ricerche sul cervello – è universale ma potenziale. Essa si dispiega quando la mente umana sfugge ai processi di normalizzazione che mirano a renderla funzionaria dell'ordine esistente; quando, cioè, non viene addomesticata dall’educazione e dalla cultura, recintata nella gabbia del senso comune e della mentalità corrente, indotta a temere più che a coltivare le potenzialità riflessive e critiche di cui è dotata, sterilizzata nella sua carica di empatia che mantiene viva l’identificazione con coloro che soffrono e sono oppressi, costretta ad assumere come obiettivo univoco della vita la cura dell’interesse privato che la recinge nella gabbia dell’individualismo. Una circostanza del genere si è realizzata, nel tempo e nello spazio, solo in una minoranza di soggetti, particolarmente dotati di sensibilità sociale e di spirito critico. In una quota rilevante della popolazione (e di ogni popolazione sinora esistita) i processi di normalizzazione inducono, in maniera più o meno passiva, l’adattamento e l’assuefazione alla realtà, che, vissuta alla luce dell’ideologia dominante, giunge ad essere naturalizzata, vale a dire assunta come poco o punto modificabile. L’intento del saggio è di sondare il significato di questa diversità e di porre le premesse teoriche a partire dalle quali la potenziale pericolosità della mente, in virtù di una programmazione socioculturale del tutto diversa rispetto a quella attuale, potrebbe finalmente dispiegarsi dando luogo a un universo di esseri empatici, riflessivi, critici e autocritici.
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