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BONFADINI, Romualdo. - Nato ad Albosaggia, in Valtellina, il 17 sett. 1831, da Giovanni Battista e Marianna Carbonera, seguì gli studi classici a Milano, dove il padre rappresentava nella Congregazione centrale lombarda la provincia di Sondrio. Ivi conobbe E. Visconti Venosta, col quale, ancora studente, partecipò alle Cinque giornate. Conseguita la laurea in giurisprudenza a Pavia e svolta, senza passione, pratica legale presso un avvocato milanese, tornò poi in Valtellina, amareggiato per la restaurazione del dominio austriaco. Prendendo interesse all'agronomia, fondò con Gino Visconti Venosta, fratello di Emilio, l'Almanacco agricolo valtellinese, e all'agricoltura locale, danneggiata da varie cause (crittogama della vite, rincaro del prezzo dei grani, censo del 1853), volse inoltre le sue cure come presidente della Società agraria della Valtellina e assessore dell'amministrazione comunale di Sondrio. All'attività pubblicistica fu avviato, negli stessi anni, dal conte C. Giufini Dalla Porta, che lo chiamò a collaborare al Crepuscolo di C. Tenca.Recatosi, nel 1255, a Parigi, assistette alle dispute destate, tra gli esuli e i patrioti convenuti per l'Esposizione della capitale francese, dalle affermazioni di D. Manin a favore di una soluzione monarchica unitaria del problema italiano. Queste ebbero su di lui decisiva influenza, allontanandolo dalla tendenza democratico-rivoluzionaria della prima giovinezza: con radicale spostamento, divenne assertore della monarchia liberale, secondo gli ideali e la prassi di governo di Cavour, i cui meriti poi sottolineò nello scritto Camillo Cavour (Firenze 1886). Ammalatosi, non poté partecipare alla seconda guerra d'indipendenza, ma dopo la battaglia di Magenta (4 giugno 1859) divenne segretario dell'Intendenza provvisoria di Valtellina e fece parte della commissione che trattò con la Svizzera per la questione dei passaggi ferroviari attraverso le Alpi. Collaborò, quindi, assiduamente alla Perseveranza,ilnuovo giornale moderato fondato in Milano (1860), fino al 1866, allorché, scoppiata la terza guerra d'indipendenza, si arruolò tra i garibaldini, partecipando, agli ordini del colonnello E. Guicciardi, alla difesa dello Stelvio. L'anno successivo fu eletto deputato per la X legislatura (1867-70) nel collegio di Adria. In tale occasione, come candidato, espose agli elettori nell'opuscolo Mutar sistema (Padova 1867) il suo pensiero politico, improntato a un vigile conservatorismo e a una certa durezza autoritaria verso gli oppositori del governo. Nello stesso anno 1867 si recò a Roma, per incarico di E. Visconti Venosta, divenuto ministro degli Esteri, a osservare le condizioni dello Stato pontificio in rapporto a un'eventuale azione italiana. Le sue osservazioni, pubblicate dapprima sulla rivista Il Politecnico e quindi nell'opuscoloRoma nel 1867 (Milano 1867), si allargano all'analisi delle varie componenti della società romana, del costume, dell'economia, delle leggi e dell'amministrazione, ritraendone un quadro di generale decadenza, non suscettibile tuttavia di una vicina soluzione rivoluzionaria. Non appena si fosse delineata un moto a Roma o nelle vicinanze, il governo regio avrebbe dovuto intervenire col duplice intento di unire Roma all'Italia e sostituirsi all'iniziativa del partito d'azione. Sempre per incarico del ministro degli Esteri Visconti Venosta, egli compì nel 1870 un'altra missione a Parigi, dove assistere al crollo del secondo Impero, sconsigliando al governo italiano d'intervenire a suo favore. Gli eventi successivi, con la proclamazione della repubblica e la Comene, suscitando la sua avversione di monarchico e di uomo di destra, lo indussero a risalire alla rivoluzione del 1789, per rinvenirvi i vizi d'origine dell'inquieta democrazia francese. Compose così lo scritto Sull'indole e sugli effetti della rivoluzione francese nel secolo scorso (Milano 1871), nel quale condannò la maggior parte deg
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