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Anno edizione: 2015
Anno edizione: 2022
Anno edizione: 2015
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Una scoperta come autrice, ma dalla letteratura canadese non poteva essere altrimenti. Un libro delicato a partire dal titolo, racconta con profondità il rapporto tra due sorelle, in alcuni punti fortemente commuovente. Consigliato
Ammetto che fossi completamente all'oscuro della trama e, forse, se fossi stata più informata, non lo avrei acquistato. È la storia di due sorelle, Elfie e Yoli: la prima di successo, bella, ricca, con un marito affettuoso ed una carriera alle stelle; la seconda fallita, con due divorzi alle spalle, alla ricerca dell'amore vero che la porta tra le braccia di uomini occasionali, e scrittrice di un romanzo che sembra non voler mai vedere la luce. Sembrerebbero chiare le dinamiche tra loro, se non fosse che Elf è affetta da un profondo "male di vivere", che la porta a voler tentare il suicidio diverse volte ed emulare la fine fatta dal loro papà, morto suicida sotto un treno. Yoli tenterà in tutti i modi di farle tornare la voglia di sopravvivere, con rabbia, con amore, con i ricordi, con gli affetti vicini, anche se nel profondo comincerà a cercare di capire anche le ragioni per cui Elf vuole rinunciare a lottare. Lo stile della Toews è particolare, con periodi lunghi e dialoghi nascosti all'interno del flusso narrativo. Se in alcuni momenti rischia di far confondere il lettore, in altri è perfetto per rendere le emozioni che si avvicendano durante il romanzo. A mio parere però l'ho trovato troppo pesante, non perché "noioso" ma perché troppo cupo e ridondante, focalizzato per oltre 300 pagine su questo sentore di morte che sembra non voler trasmettere alcun messaggio. Buona parte della trama si svolge in ospedale dopo un tentato suicidio di Elf e sembra che ogni giorno i personaggi vivano le stesse cose, dicano le stesse parole e giungano sempre alle stesse conclusioni. Non c'è evoluzione e, per me, nemmeno un messaggio (negativo o positivo che sia). Non mi è dispiaciuto, ma non lo rileggerei. ***/5
Affronta con estrema intelligenza degli argomenti, come il suicidio, strappandoti talvolta una risata e non facendo mancare momenti di commozione e angoscia . Io l'ho divorato. Lo consiglio a chi ama vivere tante emozioni anche fortemente in contrasto tra loro. Non ho dato 5 solo perché le 5 stelle le ho riservate a Saramago, Pirandello, eco, Dickens, steinbeck insomma ai mostri sacri !
Recensioni
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Vincitore Premio Sinbad 2015 - Narrativa straniera.
Smettila soltanto di mentirmi su cos’è la vita, dice Elf.
Benissimo, Elf, smetterò di mentirti quando tu smetterai di cercare di ammazzarti.
Allora Elf mi dice che dentro di sé ha un pianoforte di vetro. Ed è terrorizzata all’idea che possa rompersi. Non può permettere che si rompa. Mi dice che è schiacciato sotto la parte destra del suo stomaco, che a tratti sente gli spigoli duri premerle contro la pelle, che teme possa trafiggerla, e di morire dissanguata.
C’è la depressione. C’è il dolore vero. E una scrittura magnifica. Vanity Fair
Forse è vero che uno scrittore scrive sempre di sé. Forse la grandezza di uno scrittore sta proprio in questo, nello scrivere sempre di sé mentre in apparenza scrive d’altro, riuscendo ad allargare la propria esperienza personale, trasformandola in qualcosa di universale. Dieci anni fa avevo letto, restandone molto colpita, “Un complicato atto d’amore”, di Miriam Toews. Avevo appreso della comunità mennonita a cui il suo fondatore, l’olandese Menno Simons, aveva dato regole severissime nel lontano 1540. E tuttavia le stesse regole che hanno qualcosa di implacabile sono tuttora valide ai nostri giorni nella cittadina di East Village, nel Manitoba, in Canada, dove vive la famiglia von Riesen, per molti versi simile alla famiglia Nickels del primo romanzo di Miriam Toews. Padre, madre, due sorelle. Un padre ossequioso alle leggi, una madre con una straordinaria energia vitale, una sorella maggiore decisamente ribelle e infine lei, la sorellina di sei anni più giovane, voce narrante di “I miei piccoli dispiaceri”.
Quella che Yolandi, alter ego di Mriam Toews, racconta, è una storia autobiografica. E’ la storia del viaggio verso la morte della sorella Elfrieda. Una morte cercata, voluta, desiderata, implorata. E’ una storia tristissima. Potrebbe essere solo una storia tristissima se non fosse che il piatto della bilancia della disperazione è equilibrato da quello traboccante del brio, dell’umorismo e della forza positiva di Yolandi. Elfrieda è in ospedale. Una volta, due volte. Non c’è il due senza il tre. Si riesce veramente ad impedire a qualcuno di suicidarsi, se proprio vuole? Elfrieda aveva chiesto aiuto alla sorella, unita a lei da un legame fortissimo, perché la aiutasse a ricorrere alla morte assistita. E Yolandi prende in considerazione la possibilità in pagine che oscillano tra il macabro e il comico mentre si informa su google dei costi in Svizzera, oppure in Messico dove, però, bisogna addentrarsi in quartieri pericolosi (pericolosi per chi? per chi sarebbe felice in ogni caso di morire in qualsiasi maniera?) per procurarsi i medicinali letali, chiedendo nello stesso tempo ad un amico avvocato se lei, Yolandi, corresse il rischio di essere incriminata per averla aiutata. E poi, ha senso sorvegliare a vista una persona se c’è forse un gene ereditario che spinge al suicidio? nella loro famiglia si erano suicidati il padre, una cugina…
Si parla tanto di morte, cercata, arrivata per caso a chi non se l’aspettava (una zia venuta ad aiutare la madre), e tuttavia, parallelamente, si esalta la vita. E’ difficile far combaciare le due figure di Elfrieda, quella ormai trasparente nel letto di ospedale e quella dagli occhi verdi, il sorriso smagliante e i capelli al vento che aveva suonato Rachmaninov sfidando gli anziani della comunità che erano venuti per opporsi alla sua musica (peccaminosa) e alla sua iscrizione all’università (il posto delle donne è a casa, a fare figli), Elfrieda iconoclasta che lascia la sua firma in rosso sui muri, Elfrieda grande pianista capace di commuovere le folle, Elfrieda che aveva tutto, proprio tutto, anche un marito che la adora e un agente che arriva dall’Italia con un enorme fascio di fiori, Elfrieda maestra di vita della sorellina che è il suo opposto, casinista, squinternata, due figli da due diversi mariti, un divorzio in corso, un romanzo iniziato, senza capo né coda, che si porta dietro in un sacchetto del supermercato. Eppure, tutto l’amore, del marito, della sorella, della madre (personaggio straordinario nella sua stravagante ingenuità e purezza di cuore), non è sufficiente per ancorare Elfrieda.
Fortemente drammatico e teneramente buffo, spruzzato di riferimenti letterari (il titolo è una citazione di Coleridge, uno dei ‘fidanzati letterari’ di Elfrieda di cui Yolandi è gelosa), “I miei piccoli dispiaceri” è opera di una scrittrice che sa costruire un mondo su ogni frammento di ricordo.
A cura di Wuz.it
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